Avv. Ettore Nesi – URBANISTICA: Differenze tra compensazione e perequazione

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Negli strumenti urbanistici più recenti il pianificatore comunale ha adottato soluzioni tecniche alternative alla procedura espropriativa: la c.d. cessione compensativa e la c.d. cessione perequativa.

Mediante la compensazione il pianificatore impone in via autoritativa il vincolo espropriativo su aree private, che sono pertanto «destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree» (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 17 settembre 2009,  n. 4671). In tali aree, dunque, il Comune appone un vincolo c.d. preespropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione.

Al contempo però, mediante l’istituto della cessione compensativa, il privato ottiene i c.d. crediti compensativi. Osserva il medesimo indirizzo che la c.d. cessione compensativa consente di ristorare il proprietario «mediante attribuzione di ‘crediti compensativi’ od aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario» (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, sent. n. 4671/2009; cfr. A. Bova, Aspettative reali e diritti edificatori, Napoli, 2012: «nella compensazione il vincolo è sempre presente, il momento autoritativo è presupposto del fenomeno che è volto a risolvere gli effetti negativi delle previsioni urbanistiche sfavorevoli: con il loro consenso i privati incisi dal vincolo possono ottenere un vantaggio superiore a quello ritraibile dall’indennizzo pecuniario).

In buona sostanza mediante la cessione compensativa, al privato titolare dell’area da espropriare è destinato un corrispettivo «in volumetria (diritto edificatorio) o in aree in permuta (anziché in denaro, come avverrebbe tanto nel caso in cui l’area fosse acquisita bonariamente quanto nel caso in cui venisse espropriata)» (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, sent. n. 4671/2009).

La cessione perequativa è invece alternativa all’espropriazione; essa «non prevede l’apposizione di un vincolo preespropriativo sulle aree destinate a servizi pubblici ma prevede che tutti i proprietari, sia quelli che possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa ed uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del Comune» (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, sent. n. 4671/2009).

In altri termini, in base al modello perequativo, tutti i terreni sviluppano una propria volumetria, ma essa potrà essere sfruttata soltanto su specifiche aree. Si parla in proposito di aree di decollo dei diritti edificatori e aree di atterraggio degli stessi (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, sent. n. 4671/2009: «la cessione perequativa si caratterizza per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore dell’amministrazione sviluppa volumetria propria (espressa, appunto dall’indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito) che, però, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l’edificabilità (aree alle quali è attribuito un indice urbanistico adeguato a ricevere anche la cubatura proveniente dai terreni oggetto di cessione»).

Osserva la Sezione IV del Consiglio di Stato nella decisione n. 4545 del 13 luglio 2010,  n. 4545 (nello stesso senso v. inoltre Cons. St., Sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321), come i pilastri fondamentali della disciplina perequativa siano: da un lato, la potestà conformativa del territorio di cui l’Amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione; dall’altro lato, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse (art. 11 legge 7 agosto 1990, n. 241).

Quanto al primo pilastro, e cioè per quanto riguarda il potere confermativo, la Sezione IV del Consiglio di Stato rileva le prescrizioni urbanistiche perequative siano in linea con una moderna concezione della potestà conformativa riconosciuta all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio. Il meccanismo perequativo non è infatti idoneo ad incidere direttamente e immediatamente sullo statuto della proprietà e non viola pertanto l’art. 42 Cost.

Mediante tale tecnica lo strumento urbanistico attribuisce indici di fabbricabilità alle aree dallo stesso contemplate. Non si ha quindi una riserva alla mano pubblica di quote di superficie, incidendo sulla totalità della capacità edificatoria dei suoli, ivi compresa quella in atto già da questi posseduta; il che realizzerebbe una forma larvata di esproprio (cfr. Cons. St., Sez. IV, sent. n. 4545/2010 cit.).

Il modello perequativo contempla una fase statica, di assegnazione a ciascuna zona della propria destinazione urbanistica e dei relativi indici di edificabilità, ed una fase dinamica «idonea a prevedere la possibile evoluzione futura dell’assetto del territorio comunale: in tale prospettive, per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche, urbanizzazioni e infrastrutture, in aggiunta e in alternativa all’imposizione di vincoli su specifici suoli finalizzati a future espropriazioni, per il reperimento dei suoli e delle risorse necessarie sono stati introdotti i meccanismi appena descritti» (cfr. Cons. St., Sez. IV, sent. n. 4545/2010 cit.).

Nella fase statica, l’Amministrazione fa mediante la perequazione è in primo luogo attribuire ai suoli un determinato indice di edificabilità, il che è espressivo dell’ordinario esercizio del potere di pianificazione; nella fase dinamica, il pianificatore procede «a porre le basi per possibili incrementi futuri della cubatura edificabile, predisponendo i meccanismi con i quali questa potrà essere riconosciuta ai vari suoli, in ragione della loro zonizzazione e tipologia».

In tal modo non viene in alcun modo ad essere integrata una sostanziale ablazione della proprietà né una surrettizia sottrazione di volumetrie (cfr. Cons. St., Sez. IV, sent. n. 4545/2010 cit.).

Il secondo pilastro della perequazione urbanistica è il ricorso a strumenti negoziali e consensuali per il perseguimento di obiettivi di pubblico interesse. Detti strumenti non concretano invero la sostituzione con moduli convenzionali della pianificazione generale, la quale conserva invece i connotati di atto provvedimentale e autoritativo, interamente promosso e gestito dall’Amministrazione.

Gli strumenti privatistici e consensuali sono destinati a intervenire nella fase attuativa delle prescrizioni poste dallo strumento urbanistico generale (cfr. Cons. St., Sez. IV, sent. n. 4545/2010 cit., il quale osserva come «il ricorso a moduli convenzionali nella fase della pianificazione attuativa del P.R.G. non è certo ignoto all’esperienza del nostro ordinamento» e in proposito rammenta le convenzioni di lottizzazione, nonché gli accordi sostitutivi dell’espropriazione di cui all’art. 45 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, i quali «costituiscono proprio una applicazione, alla particolare materia dell’ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche, del generale principio dell’utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse»).

Nella sentenza n. 4545/2010 viene infine osservato come la “copertura” normativa degli strumenti negoziali attuativi della perequazione urbanistica vada individuata nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 legge 7 agosto 1990, n. 241.

Grazie alle tecniche perequative, pertanto, da un lato, l’Amministrazione predetermina le condizioni alle quali potranno attivarsi i ridetti meccanismi convenzionali, dall’altro lato, detti strumenti saranno attivati «solo se e quando i proprietari interessati ritengano di voler avvalersi degli incentivi cui sono collegati (e, cioè, di voler fruire della volumetria aggiuntiva assegnata ai loro suoli dal P.R.G.)» (sent. n. 4545/2010 cit.). Qualora tali meccanismi non fossero attivati, ma il Comune avesse comunque interesse alla realizzazione della c.d. Città pubblica, non resterà che attivarsi con gli strumenti tradizionali « in primis le procedure espropriative (naturalmente, se del caso, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all’esproprio con apposita variante urbanistica)» (sent. n. 4545/2010).

Cosicché – osserva la Sezione IV del Consiglio di Stato, «è proprio la natura “facoltativa” degli istituti perequativi de quibus, nel senso che la loro applicazione è rimessa a una libera scelta degli interessati, a escludere che negli stessi possa ravvisarsi una forzosa ablazione della proprietà nonché, nel caso del contributo straordinario, che si tratti di prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost» (sent. n. 4545/2010 cit.).

Né la facoltatività degli strumenti negoziali viene meno, osserva sempre la Sezione IV del Consiglio di Stato, ove il pianificatore comunale predetermini in via autoritativa i contenuti essenziali degli accordi che l’Amministrazione e i privati andrebbero a concludere: «siffatta predeterminazione è coerente con l’interesse pubblico al cui perseguimento, giusta il citato art. 11 della legge nr. 241 del 1990, gli accordi in questione sono finalizzati: a tale interesse invero, proprio in quanto ricomprende gli obiettivi perequativi più volte richiamati, è intrinsecamente connessa l’esigenza di garantire la par condicio fra i privati proprietari di suoli soggetti a eguale disciplina urbanistica, esigenza che all’evidenza sarebbe frustrata qualora fosse rimesso integralmente al momento della contrattazione privata – quasi che questa fosse espressione di mera autonomia privata, e non coinvolgesse invece interessi di rilevanza pubblicistica – la definizione dei termini e delle modalità della “contropartita” che ciascun privato dovrà assicurare all’Amministrazione in cambio della volumetria edificabile aggiuntiva riconosciutagli dal Piano» (sent. n. 4545/2010).