Avv. Ettore Nesi – EDILIZIA: Breve nota sulla disapplicazione dei regolamenti locali che, nelle zone di completamento B, consentano la sopraelevazione dei tetti in deroga alla normativa sulle distanze tra edifici e pareti finestrate ex art. 9 d.M. n. 1444/1968

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In tema di distanze nelle costruzioni assumono rilievo due disposizioni.

La prima è l’art. 873 c.c. (distanze nelle costruzioni) il quale stabilisce:

«le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore».

La seconda disposizione di riferimento in tema di distanze nelle costruzioni è quella contenuta all’art. 9, comma 1, d.M. n. 1444/1968, il quale stabilisce, per le Zone B, “Nuovi edifici ricadenti in altre zone“: «è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti».

Il formante giurisprudenziale, relativo a quest’ultima disposizione, è costante nell’affermare che essa sia integrativa della disciplina del codice civile (cfr., ex multis, Cass., Sez. II, 12 dicembre 1976, n. 7391; Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3888). Ciò in quanto il d.M. n. 1444/1968 ha natura di regolamento delegato ex art. 17 legge 6 agosto 1967, n. 765, il quale, nel novellare la legge urbanistica n. 1150/1942, introdusse l’art. 41-quinquies, il cui ultimi due commi prevedono:

«In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonchè rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi.

I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore della medesima».

Secondo l’unanime giurisprudenza civile ed amministrativa la distanza prescritta dal d.M. n. 1444/1968 non è diretta a garantire la privacy dei vicini, bensì a salvaguardare esigenze igienico-sanitarie (cfr., ex multis, Cass., Sez. II, 3 marzo 2008, n. 5741; Cons. St., Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 844). Trattandosi di una distanza tassativa ed inderogabile, il rispetto di essa si impone indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti, dalla quota delle vedute sulle pareti antistanti, dall’andamento parallelo delle pareti, dalla possibilità che dalle finestre dell’una sia possibile la veduta sull’altra (Cass., Sez. II, sent. n. 5741/2008; nello stesso senso Cons. St., Sez. IV, sent. n. 844/2013 cit.).

Perché trovi applicazione la prescrizione dettata dall’art. 9 d.M. n. 1444/1968 è sufficiente che almeno una delle due pareti frontistanti sia finestrata e che un segmento di esse sia tale che l’avanzamento (ideale) di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento (cfr. Cass., Sez. II, 27 maggio 2011, n. 11842, nello stesso senso: Cass., Sez. II, 30 marzo 2001, n. 4715; Id., sent. n. 5741/2008 cit.; Cons. St., Sez. IV, sent. n. 354/2013 cit.). Occorre inoltre precisare che non rileva il fatto che uno dei tratti della parete sia cieco (cfr. Cass., SS.UU., 7 luglio 2011, n. 14953).

L’art. 9 d.M. n. 1444/1968 non è invero immediatamente precettivo nei rapporti tra privati, ma soltanto ope iudicis. Più precisamente, detta disposizione è interpretata dalla prevalente giurisprudenza civile nel senso che l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma comporta l’obbligo per il giudice civile non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del menzionato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che deve essere disapplicata (tra le tante, Cass., Sez. II, 30.3.2006, n. 7563; 19.11.2004, n. 21899; 10.1.2003, n. 158; 27.3.2001, n. 4413; 14.1.1999, n. 314).

Con specifico riferimento alle sopraelevazioni di edifici preesistenti, esse vengono ricondotte nelle nuove costruzioni (Cass., Sez. II, 27 marzo 2001, n. 4413; Cass., Sez. II, 11 settembre 1997, n. 5246; Sez. II, 15 giugno 1996, n. 5517). Cosicché nel sopraelevare il proprietario è tenuto ad osservare le distanze dai confini e dalle pareti finestrate ex art. 9 d.M. n. 1444/1968, non essendo perciò consentito di allinearsi al filo del manufatto preesistente (cfr. Cass., Sez. III, 1 ottobre 2009, n. 21059).

Quanto al recupero dei sottotetti a fini abitativi, è stato precisato dalla giurisprudenza, ivi compresa quella costituzionale, che la normativa regionale che ammette il recupero dei sottotetti deve interpretarsi nel senso che essa «consente la deroga dei parametri e indici urbanistici ed edilizi di cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore comunale, fatto salvo il rispetto della disciplina sulle distanze tra fabbricati, essendo quest’ultima materia inerente all’ordinamento civile e rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato» (Corte Cost., 19 maggio 2011, n. 173).

Così pure il giudice amministrativo ha osservato, in una fattispecie in cui si discuteva della legittimità di un intervento di ampliamento del sottotetto, che l’art. 9 d.M. n. 1444/1968 detta una prescrizione che prevale “sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (v. Corte Cost. 16 giugno 2005 n. 232, punto 4, con le eccezioni ivi previste), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II 31 ottobre 2006 n. 23495), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che per la loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (v. Cons. St., Sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3094)” (T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 3 luglio 2008,  n. 788).

La normativa di fonte regionale o locale non può insomma dettare prescrizioni derogatorie di quelle recate dal citato art. 9 d.M. n. 1444/1968.