Avv. Ettore Nesi – EDILIZIA: Breve nota sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 29 maggio 2013, in materia di requisiti acustici passivi degli edifici nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 11, comma 5°, legge n. 88/2009

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L’art. 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), ha attribuito allo Stato la determinazione dei requisiti acustici passivi e di quelli delle sorgenti sonore degli edifici, rinviando la relativa disciplina ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

I requisiti acustici passivi e di quelli delle sorgenti sonore degli edifici vennero determinati con d.P.C.M. 5 dicembre 1997, con il quale sono stati prescritti i limiti espressi in decibel che gli edifici costruiti dopo la sua entrata in vigore avrebbero dovuto rispettare.

Con direttiva 2002/49/CE è stata disciplinata la gestione del c.d. rumore ambientale. Detta direttiva è stata recepita dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 194 (Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale).

A seguito della scadenza della delega prevista dall’art. 14 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2003), l’art. 11 della legge 7 luglio 2009, n. 88 ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di integrare nell’ordinamento la direttiva 2002/49/CE.

Al comma 5° dell’art. 11 della legge n. 88/2009 è stato peraltro previsto che «in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge».

Con l’art. 15, comma 1, lettera c), della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2009), è stata dettata una norma di interpretazione autentica, in base alla quale l’articolo 11, comma 5, legge n. 88/2009, è sostituito dalla seguente norma: «In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato».

Con sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 29 maggio 2013 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera c), della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2009), sostitutivo dell’art. 11, comma 5, della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2008).

L’art. 15, comma 1, lett. c, legge n. 96/2010 detta infatti una norma di interpretazione autentica, avente quindi efficacia retroattiva, travalicando i limiti generali individuati dal formante della Corte Costituzionale in tema di norme di interpretazione autentica.

Osserva la Corte Costituzionale che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost.; cosicché il legislatore può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché «la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)» (Corte Costituzionale sent. n. 103/2012). Di talché, viene osservato nella sentenza n. 103/2013, «la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario».

Occorre tuttavia tener conto che il potere del legislatore di dettare norme aventi efficacia retroattiva incontra limiti attinenti alla «salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (Corte Cost. sent. n. 103/2013).

In violazione dei suddetti limiti, anzitutto l’art. 15 legge n. 96/2010 non interviene invece ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in questa contenuto; l’art. 3, comma 1, lettera e), della legge n. 447 del 1995 «disciplina infatti la modalità di esercizio della competenza statale nella individuazione dei requisiti acustici degli edifici, regolando il procedimento per l’adozione del relativo d.P.C.M., ma non considera in alcun modo i riflessi di tali disposizioni nei rapporti tra privati».

A ben vedere, l’art. 15 legge n. 96/2010 persegue la finalità di estendere con efficacia ex tunc la moratoria contenuta nell’art. 11, comma 5, della legge n. 88/2009, la quale è destinata a produrre i propri effetti ex nunc, non potendosi applicare retroattivamente alle fattispecie venute in essere anteriormente alla sua entrata in vigore; entrata in vigore che va individuata nel 29 luglio 2009, tenuto conto della data di pubblicazione in G.U.R.I. (14 luglio 2009) e dell’ordinario periodo di vacatio legis.

In secondo luogo, «la retroattività della disposizione impugnata non trova giustificazione nella tutela di «principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)» (sent. n. 103/2013).

Irragionevolmente, dunque, l’art. 15 legge n. 96/2010 va ad incidere su rapporti ancora in corso, «vanificando il legittimo affidamento di coloro che hanno acquistato beni immobili nel periodo nel quale vigeva ancora la norma “sostituita”, di cui all’art. 11, comma 5, della legge n. 88 del 2009, che, a tutela di tale affidamento e della certezza del diritto, specificava che la sospensione dell’applicazione nei rapporti tra privati delle norme sull’inquinamento acustico degli edifici valesse per il futuro» (sent. n. 103/2013).

L’art. 15 legge n. 96/2010 «oltre a ledere il legittimo affidamento sorto nei soggetti suddetti, contrasta con il principio di ragionevolezza, in quanto produce disparità di trattamento tra gli acquirenti di immobili in assenza di alcuna giustificazione, e favorisce una parte a scapito dell’altra, incidendo retroattivamente sull’obbligo dei privati, in particolare dei costruttori-venditori, di rispettare i requisiti acustici degli edifici stabiliti dal d.P.C.M. 2 dicembre 1997, di attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera e), della legge n. 447 del 1995» (sent. n. 103/2013).