Avv. Ettore Nesi – CONTRATTI PUBBLICI: Forme di partenariato tra amministrazioni aggiudicatrici che ricorrano a centrali di committenza

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1. La centrale di committenza in termini generali.

1.1. In termini generali, si osserva che la centrale di committenza (central purchasing body) viene positivizzata all’art. 1, § 10[1], e all’art. 11[2] della Direttiva n. 18/2004. Al 15° considerando viene osservato che «in alcuni Stati si sono sviluppate tecniche di centralizzazione delle committenze [centralised purchasing techniques]. Diverse amministrazioni aggiudicatrici sono incaricate di procedere ad acquisti o di aggiudicare appalti pubblici/stipulare accordi quadro destinati ad altre amministrazioni aggiudicatrici». Ad avviso del legislatore europeo le c.d. centralised purchasing techniques accrescono il volume degli acquisti e pertanto consentono «un aumento della concorrenza e dell’efficacia della commessa pubblica» (cfr. T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 2 marzo 2010,  n. 700[3]).

In attuazione della Direttiva n. 18/2004, con il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (di seguito, per brevità, semplicemente Codice) è stato così previsto, al comma 34° dell’art. 3, che per centrale di committenza deve intendersi una “amministrazione aggiudicatrice” e cioè “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” (così il comma 25° dell’art. 3 Codice).

In base a quanto poi precisato dal comma 1° dell’art. 33 del Codice, il ricorso a centrali di committenza può sostanziarsi anche in forme di partenariato istituzionale, venendo espressamente ammesso che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori possano ricorrere alla centrale di committenza “associandosi o consorziandosi” (cfr. art. 33, comma 1°, del Codice).

1.2. Dal punto di vista delle attribuzioni delle centrali di committenza, queste sono definite dal comma 34° dell’art. 3 e dall’art. 33 del Codice, dai quali si ricava che l’attribuzione tipica della centrale di committenza è quella di agire nel settore degli appalti pubblici per soddisfare esigenze non proprie bensì di altre amministrazioni aggiudicatrici[4] ovvero di enti aggiudicatori[5].

Alle centrali di committenza possono essere attribuite seguenti funzioni:

a) acquisire forniture, servizi o lavori destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori (cfr. 1° alinea del comma 34° dell’art. 3 e comma 1° dell’art. 33 del Codice);

b) aggiudicare appalti pubblici o concludere accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori (cfr. 2° alinea del comma 34 dell’art. 3 e comma 3° dell’art. 33 del Codice).

Quelle elencate al punto b) che precede sono evidentemente funzioni e attività proprie delle stazioni appaltanti[6]. Nei riguardi delle centrali di committenza, infatti, il Codice detta una deroga espressa al generale divieto per le amministrazioni aggiudicatrici di affidare a soggetti pubblici o privati lo svolgimento delle attribuzioni di stazione appaltante (cfr. comma 3° dell’art. 33 Codice dei contratti).

I central purchasing bodies possono pertanto svolgere funzioni e attività che il Codice riserva alle stazioni appaltanti, anche nelle ipotesi in cui non agiscano sul mercato al fine di soddisfare esigenze proprie.

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2. (segue): forme di partenariato tra amministrazioni aggiudicatrici che ricorrano a centrali di committenza.

Come anticipato, le stazioni appaltanti possono ricorrere a centrali di committenza “anche associandosi o consorziandosi” (comma 1° dell’art. 33 del Codice).

L’associazione o il consorzio tra stazioni appaltanti può tradursi sia in una forma di partenariato forte, quando cioè le attribuzioni di centrale di committenza vengono conferite ad un organismo avente una soggettività autonoma e distinta da quella delle stazioni appaltanti, sia in una forma di partenariato debole che si ha quando le stazioni appaltanti conferiscono, delegando le rispettive funzioni amministrative, ad una stazione appaltante (la c.d. capofila) il ruolo di centrale di committenza.

2.1. Possono ascriversi alle forme di partenariato forte quelle previste dalla normativa settoriale, nazionale e regionale, che fissano una sorta di delega irrevocabile a determinati soggetti (ad es. Regione o enti dalla stessa istituiti), i quali divengono in tale veste competenti in via esclusiva all’indizione della gara e ne sono gli unici e diretti responsabili (cfr. art. 42 e 45 bis L.R. Toscana 13 luglio 2007, n. 38[7], nonché artt. 100 e 101 L.R. Toscana n. 40/2005 relativo alle attribuzioni dei c.d. ESTAV).

Tale forma di partenariato può peraltro tradursi nella creazione di un organismo specificamente dedicato allo svolgimento delle attribuzioni di centrale di committenza. Ne sono un esempio le c.d. Stazioni Uniche Appaltanti previste dall’art. 13 legge 13 agosto 2010, n. 136 e definite dal d.P.C.M. 30 giugno 2011, nonché gli enti istituiti ai sensi del comma 455° dell’art. 1 legge 27 dicembre 2006, n. 296[8].

Si tratta di una forma di collaborazione istituzionale largamente auspicata dal legislatore nazionale, come è confermato dal comma 27 dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008) ha espressamente previsto che è «sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi  di  committenza  o  di  centrali  di  committenza  a livello regionale   a   supporto   di   enti   senza  scopo  di  lucro  e  di amministrazioni  aggiudicatrici  di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza» (v. altresì l’art. 13 D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248[9]).

Nelle ipotesi partenariato forte, in caso di contenzioso, le singole stazioni appaltanti non assumono la veste di interlocutrici processuali, ma ciascuna per proprio conto sarà tenuta «alla stipula dei singoli contratti d’appalto con le imprese aggiudicatarie e alla gestione del relativo rapporto contrattuale, essendo destinatarie di tutti gli effetti, sostanziali e processuali, scaturenti dalle vicende connesse alla procedura di gara. Esse, come beneficiano, da un lato, della procedura indetta ed espletata dalla centrale di committenza, sono dall’altro vincolate alle vicende – anche giudiziarie – della gara, vicende che hanno, per disposizione di legge, nella centrale di committenza l’unica protagonista, sul piano sostanziale come su quello processuale, e che possono riverberarsi direttamente, come nel caso dell’art. 122 c.p.a., anche sulla stipula dei successivi contratti» (Cons. St., Sez. III, 9 luglio 2013,  n. 3639; T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 18 luglio 2012,  n. 1370).

2.2. Nel caso invece di partenariato debole, la veste di centrale di committenza è assunta da una delle stazioni appaltanti. In quest’ultima ipotesi, la centrale di committenza si atteggia come un modulo organizzativo, privo però di autonoma soggettività. La centrale di committenza non costituisce infatti un centro esclusivo di imputazione dei rapporti intercorrenti con le imprese concorrenti nelle gara pubbliche, né con l’imprese aggiudicatarie di appalti pubblici (cfr. Cons. St., Sez. V, 19 aprile 2007,  n. 1800[10]; nonché T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, 10 febbraio 2009, n. 291[11]).

Comune ad entrambi i modelli di centrale di committenza sopra descritti è il fatto che la centrale di committenza agisca su delega delle stazioni appaltanti attraverso lo strumento del convenzionamento (cfr. art. 33, comma 3°, Codice, cfr. T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, sent. n. 291/2009 cit.[12]).

Esempio tipico di convenzionamento sono le c.d. convenzioni CONSIP, regolate dall’articolo 2, comma 573, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in base alle quali anche amministrazioni diverse da quelle statali (compresi quindi gli Enti Locali) possono procedere all’acquisto di beni e servizi ricorrendo alle convenzioni stipulate da Consip Spa ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, nel rispetto dei princìpi di tutela della concorrenza.

La legittimità costituzionale di tali meccanismi, nella loro applicazione ad apparati non statali e, in particolare, agli enti locali, è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale, nelle sentenze 15 novembre 2004 n. 345 e 14 novembre 2005 n. 417, con specifico accento sulla facoltatività dell’adesione[13].

2.3. Dal formante giurisprudenziale e dalla prassi si ricava inoltre la possibilità che una stazione appaltante assuma le vesti di centrale di committenza, unilateralmente, inserendo cioè la c.d. clausola di adesione negli atti di gara e nel contratto.

In questa ipotesi, viene osservato, la stazione appaltante opera non più soltanto nel proprio interesse, ma anche in quello di altre amministrazioni aggiudicatrici; cosicché «ponendo a loro disposizione i risultati della gara, assume quindi la veste di centrale di committenza» (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 28 marzo 2012,  n. 917).

Questa procedura – osserva il summenzionato indirizzo – «non è in contrasto con le norme dettate dal Codice degli appalti per questo tipo di amministrazione aggiudicatrice», poiché né l’art. 3, comma 34, né l’art. 33 del Codice «impone alle centrali di committenza di svolgere tale attività solo a favore di terzi o di concludere contratti distinti per sé e per i terzi, o di concludere solo accordi quadro (T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 6.7.2011, n. 1819) o di svolgere tale attività solo in forma associata, con la conseguenza che deve qualificarsi centrale di committenza anche la stazione appaltante che svolga una gara per l’aggiudicazione di un contratto d’appalto di servizi con funzione accessoria ed eventuale di accordo quadro» (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 28 marzo 2012,  n. 917).



[1] Art. 1, paragrafo 10, della Direttiva n. 18/2004:

«Una “centrale di committenza” è un’amministrazione aggiudicatrice che:

– acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici, o

– aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici».

[2] Art. 11 (“Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza“) della direttiva n. 18/2004:

«1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di acquistare lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza.

2. Le amministrazioni aggiudicatrici che acquistano lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza nei casi di cui all’articolo 1, paragrafo 10, sono considerate in linea con la presente direttiva a condizione che detta centrale l’abbia rispettata».

[3] Osserva il T.A.R. Puglia Bari «la figura della centrale di committenza introdotta dalla normazione comunitaria, mutuandola dall’esperienza tedesca, ha destato nel nostro sistema in un momento iniziale qualche perplessità. Da tempo però la giurisprudenza ha chiarito che la procedura di adesione ad accordi-quadro non integri alcuna elusione o deroga alle regole sulle gare ad evidenza pubblica (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 19 maggio 2004 n. 4717) e costituisca anzi fedele applicazione nel nostro ordinamento delle regole dell’Unione europea, che, nella direttiva 31 marzo 2004 n. 04/18/CE (undicesimo “considerando”), ha inteso estendere espressamente a tutti gli appalti rientranti nella direttiva gli “accordi quadro”, prima utilizzabili solo nei c.d. “settori esclusi” (ex articolo 16 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 158), così recependo altresì modelli in uso in alcuni Stati in cui si erano sviluppate “tecniche di centralizzazione delle committenze”, le quali “consentono, dato il volume degli acquisti, un aumento della concorrenza e dell’efficacia della commessa pubblica”. Di conseguenza, una volta elaborata “una definizione comunitaria di centrale di committenza” e fissate le “condizioni in base alle quali, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento, le amministrazioni aggiudicatrici … acquistano lavori, forniture e/o servizi facendo ricorso ad una centrale di committenza”, esse “possono essere considerate come aventi rispettato le disposizioni della presente direttiva” (quindicesimo “considerando”). La legittimità costituzionale di tali meccanismi, nella loro applicazione ad apparati non statali e, in particolare, agli enti locali, d’altronde, è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale, nelle sentenze 15 novembre 2004 n. 345 e 14 novembre 2005 n. 417, con specifico accento sulla facoltatività dell’adesione» (T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 2 marzo 2010,  n. 700).

[4] Quanto alle amministrazioni aggiudicatrici, si è già ricordato che esse sono le amministrazioni dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, nonché enti pubblici non economici, organismi di diritto pubblico e enti muniti di una propria soggettività che concretino forme di partenariato istituzionale (associazioni, unioni, consorzi etc.).

[5] Quella degli “enti aggiudicatori” è una categoria più ampia di quella di amministrazioni aggiudicatrici, posto che nei possono ricomprendersi le seconde, nonché le imprese pubbliche e i soggetti che operino in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dalla competente autorità amministrativa (ad es. i concessionari di servizi pubblici, cfr. comma 29° dell’art. 3 del Codice.

[6] Ai sensi dell’art. 3, comma 33, del Codice: «l’espressione «stazione appaltante» (…) comprende le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri soggetti di cui all’articolo 32».

[7] Dispone il comma 1° dell’art. 42 (“Appalti di interesse generale”) della L.R. Toscana 13 luglio 2007, n. 38: «per gli appalti di forniture e servizi di interesse generale per le amministrazioni pubbliche, la Regione può assumere le funzioni di centrale di committenza ai sensi dell’articolo 33 del d.lgs.163/2006 e dell’articolo 1, comma 455, della l. 296/2006».

[8] È così previsto al comma 455° dell’art. 1 legge 27 dicembre 2006, n. 296: «Ai fini del contenimento e della razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi, le regioni possono costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza ai sensi dell’articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio».

[9] Ai sensi dell’art. 13 D.L. 4 luglio 2006, n. 223 conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248: «(Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza):

«1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare [esclusivamente] con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l’attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti».

[10] Secondo il Consiglio di Stato si tratta di «un modulo organizzatorio, ossia uno strumento di raccordo tra Amministrazioni privo di una propria individualità, e non un centro formale di imputazione autonomo, con la conseguenza che gli atti della procedura vanno imputati non solo alla “capofila”, ma anche alle altre amministrazioni che lo compongono» (Cons. St., Sez. V, 19 aprile 2007,  n. 1800).

[11] Secondo il T.A.R. Sicilia Catania la centrale di committenza costituisce «meramente un modulo organizzativo, vale a dire uno strumento di raccordo tra Amministrazioni privo di una propria individualità, e non un centro formale di imputazione autonomo, con la conseguenza che gli atti della procedura vanno imputati non solo alla “capofila” , ma anche alle altre Amministrazioni che la compongono, le quali dovranno poi singolarmente formalizzare il rapporto con la ditta aggiudicataria, mediante la redazione di apposito contratto. Da ciò scaturisce che la costituita unione d’acquisto non sposta su di sé la legittimazione passiva, dovendosi procedere, per la corretta instaurazione del contraddittorio, alla notifica del ricorso a tutti i soggetti che ne fanno parte avendo aderito alla procedura centralizzata di acquisto (in termini, C. Stato, sez. V. sent. n. 1800 del 19/04/07), in quanto ciascuna delle aziende della costituita centrale di committenza vantano specifico e autonomo interesse ad avvalersi dei risultati della procedura espletata dalla capofila nell’esercizio dei poteri a essa conferiti dalle altre aziende della cordata» (T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, 10 febbraio 2009, n. 291).

[12] Sempre con riguardo al modulo della “centrale di committenza-stazione appaltante capofila”, osserva il T.A.R. Sicilia Catania che «l’azienda capofila agisce su delega delle varie aziende a sé collegate, esclusivamente ai fini dell’espletamento della procedura concorsuale» (T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, sent. n. 291/2009 cit.). All’esito dell’iter concorsuale i risultati di esso debbono essere trasmessi alle stazioni appaltanti che fanno capo alla capofila affinché ciascuna di esse possa adottare la deliberazione di recepimento e procedere alla formalizzazione del rapporto con l’aggiudicataria (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, sent. n. 291/2009 cit.).

[13] In generale, viene osservato in giurisprudenza, «l’adesione alla convenzione non è stata ritenuta elusiva o derogatoria alle regole sulle gare ad evidenza pubblica (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 19 maggio 2004 n. 4717). Essa è prevista anche dalla direttiva 31 marzo 2004 n. 18 – 04/18/CE (undicesimo “considerando”), che ha inteso estendere espressamente a tutti gli appalti rientranti nella direttiva gli “accordi quadro”, prima utilizzabili solo nei c.d. “settori esclusi” (ex articolo 16 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 158). Sono state così recepite le esperienze di alcuni Stati in cui si erano sviluppate “tecniche di centralizzazione delle committenze”, reputate, in linea di massima, se rispettose dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento, conformi alle regole comunitarie (quindicesimo “considerando”)» (T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 6 maggio 2009,  n. 1038).

nota a cura dell’Avv. Ettore Nesi