Sull’accessione di opere inamovibili realizzate sul demanio marittimo. Conseguenze sulla determinazione dei canoni nel caso di concessioni demaniali marittime comprensive di pertinenze.

 

Nota a T.A.R. Abruzzo Pescara, Sez. I, 20 marzo 2012, n. 144

 


1. Sull’accessione di opere non amovibili realizzate su zone demaniali (art. 49 cod. na.)
1.1. Ai sensi dell’art. 49 cod. nav., «quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili costruite sulla zona demaniale restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato».
Secondo parte della giurisprudenza, l’accessione si verifica “ipso iure”, al termine del periodo di concessione (cfr. Cass. Civ., sez. III, 24.3.2004, n. 5842 e sez. I, 5.5.1998, n. 4504). Cosicché essa opererebbe anche in caso di rinnovo della concessione stessa. Il rinnovo – a differenza della proroga – sarebbe dunque una nuova concessione in senso proprio, in quanto interverrebbe dopo l’estinzione della concessione, con automatica produzione degli effetti, di cui all’art. 49 cod. nav. (cfr. in tal senso anche Cons. St., sez. VI, 27.4.1995, n. 365 e 5.5.1995, n. 406).
Al contrario, dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato è stato osservato come il primo indirizzo non meriti di essere generalizzato, afferendo a ben vedere ad ipotesi in cui il titolo concessorio era effettivamente cessato o in cui i manufatti erano stati realizzati sine titulo.
Secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’accessione di cui all’art. 49 cod. nav. non si verifica allorché «il concessionario abbia edificato sul suolo demaniale in base a regolare permesso di costruire e la concessione sia stata rinnovata più volte con istanza – e anche pagamento del canone – prima della relativa scadenza» (Cons. St., Sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348).
Inoltre, sempre secondo il Consiglio di Stato, nei casi in cui la concessione sia soggetta al rinnovo automatico (come nel caso di specie), non può che trovare applicazione il regime derogatorio di cui al medesimo art. 49 cod. nav. il quale, per l’appunto, esclude l’acquisizione gratuita allorché «non sia diversamente stabilito nell’atto di concessione».
Infatti, «detto inciso può giustificare l’inapplicabilità del principio dell’accessione gratuita – fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo – anche quando il titolo concessorio preveda, come nel caso di specie, forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso – al di là del “nomen iuris” – come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità» (Cons. St., Sez. VI, sent. n. 3348/2010 cit.).
Lo stesso Ministero dei Trasporti e l’Agenzia del Demanio con la circolare del 4 marzo 2008 (prot. n. M-TRA/DINFR 2592) hanno espresso la necessità di avviare un procedimento formale di incameramento dei beni. Al punto 3 della circolare si legge inequivocabilmente che “L’art. 31 del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione sancisce che, ove non sia diversamente previsto da particolari condizioni della concessione, nei casi di revoca, di decadenza o di scadenza della concessione il concessionario di beni demaniali marittimi qualora le Amministrazioni statali (Capitanerie di Porto e Agenzia del Demanio) su attivazione dell’Ente concedente, non intendano avvalersi della facoltà di acquisire le opere, è obbligato a provvedere, nei termini stabiliti, alla demolizione delle opere realizzate ed alla rimessa in pristino ed alla riconsegna dei beni concessigli…. Nell’ipotesi di mantenimento delle opere allo Stato, da parte delle Amministrazioni competent, devono essere svolte le consuete operazioni di incameramento, alle quali deve intervenire un rappresentante dell’Agenzia del demanio ai fini della redazione dei relativi testimoniali di stato. Le opere incamerate sono iscritte nell’inventario dei beni del “demanio pubblico dello Stato” (ramo marina mercantile) a termine degli articoli 3 e 4 del regolamento per l’amministrazione del patrimonio e della contabilità dello Stato (R.D. 827/1924). Analogamente in catasto verranno aggiornate le intestazioni secondo quanto sopra riportato.
Per la esecuzione della procedura di incameramento in esame, su segnalazione dell’amministrazione concedente nonché sulla scorta degli elementi di fatto acquisti prioritariamente attraverso la consultazione del S.I.D., si procederà in base alle rituali procedure. Nel corso delle operazioni di incameramento sono effettuate le verifiche relative all’immobile ivi comprese quella della documentazione catastale (regolarità dell’accatastamento, esistenza delle relative planimetrie, ecc.) al fine di assumere tutte le determinazioni necessarie. L’Agenzia del Demanio provvede automaticamente alla redazione dei testimoniali e a dare corso alle necessarie volture catastali presso il competente Ufficio Provinciale dell’Agenzia del Territorio”.
L’incameramento di un manufatto può avvenire soltanto dopo l’attivazione di una specifica procedura amministrativa, a cui devono essere applicati gli istituti partecipativi della l. 241/1990 e che trova una propria disciplina più specifica in altre norme dell’ordinamento (come, ad esempio, gli art. 3 e 4 del R.D. 827/1924).
Un effetto automatico connesso ad un fatto (nel caso di specie la cessazione della concessione), può essere prodotto soltanto se previsto espressamente dalla legge. La logica della automaticità, in quanto eccezione rispetto alla regola della “costituzione” di un effetto, deve essere espressamente prevista. Un effetto giuridico si genera ipso iure, al di fuori di un procedimento formale di costituzione di un effetto, soltanto quando vi sia una norma dell’ordinamento che dispone in tal senso. L’incameramento di un bene è un effetto della cessazione della concessione, soltanto qualora siano posti in essere gli atti amministrativi preordinati alla costituzione di tale effetto.
1.2. La sentenza in commento del T.A.R. Abruzzo Pescara dà quindi conferma all’indirizzo più recente del massimo Consesso di Giustizia Amministrativa.
Osserva, infatti, il T.A.R. abruzzese che “la proroga prevista dalla legge della concessione della ditta ricorrente non è assimilabile al termine della concessione stessa, per cui l’istituto di cui all’articolo 49 non trova applicazione”.
A conferma della propria tesi, rileva inoltre il T.A.R. Pescara come “la peculiare disciplina dell’articolo 49” trovi giustificazione proprio nel termine della concessione, “momento nel quale appare logico un ritorno economico al demanio con l’accessione di alcuni immobili non più utilizzabili dal concessionario, laddove la continuazione ex lege e senza soluzione di continuità della concessione medesima presenta una realtà affatto diversa”.
Infatti, rileva sempre il T.A.R. Pescara, la logica della proroga prevista dalla legge sarebbe coerente all’aumento “automatico dei canoni concessori, elemento questo che mal si concilia con l’applicazione e la ratio dell’articolo 49”.
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2. Sui criteri di determinazione dei canoni demaniali marittimi relativamente a concessioni comprensive di pertinenze demaniali marittime.
Quanto osservato dal T.A.R. Abruzzo in ordine al nesso tra rinnovo automatico delle concessioni demaniali e aumento dei canoni, impone di compiere alcune precisazioni circa l’esatto ambito di operatività della disciplina statale sugli aumenti periodici dei canoni.
Come è noto, l’art. 1 comma 251 l. n. 296/2006 ha novellato il comma 1° dell’articolo 03 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400 conv in l. 4 dicembre 1993, n. 494.
2.1. Alla lettera a) del 1° comma sono stati dettati nuovi criteri per la classificazione delle “aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei” che vengono ora distinti in due categorie a seconda della tipologia di utilizzazione:
– A, per utilizzazioni ad uso pubblico ad alta valenza turistica;
– B, per utilizzazione ad uso pubblico a normale valenza turistica;
Alla lettera b) del medesimo comma 1° sono stati invece dettati nuovi criteri per la determinazione del canone annuo.
Al punto 1° della lettera b) è stato in particolare previsto che, per le concessioni demaniali marittime aventi ad oggetto aree e specchi acquei, per gli anni 2004, 2005 e 2006, si applicassero le misure unitarie previgenti all’entrata in vigore della l. n. 296/2006.
A decorrere dal 1° gennaio 2007, il medesimo punto 1° della lettera b) ha stabilito che si applicassero i seguenti importi aggiornati degli indici ISTAT maturati alla stessa data:
«1.1) area scoperta: euro 1,86 al metro quadrato per la categoria A; euro 0,93 al metro quadrato per la categoria B;
1.2) area occupata con impianti di facile rimozione: euro 3,10 al metro quadrato per la categoria A; euro 1,55 al metro quadrato per la categoria B;
1.3) area occupata con impianti di difficile rimozione: euro 4,13 al metro quadrato per la categoria A; euro 2,65 al metro quadrato per la categoria B;
1.4) euro 0,72 per ogni metro quadrato di mare territoriale per specchi acquei o delimitati da opere che riguardano i porti così come definite dall’articolo 5 del testo unico di cui al regio decreto 2 aprile 1885, n. 3095, e comunque entro 100 metri dalla costa;
1.5) euro 0,52 per gli specchi acquei compresi tra 100 e 300 metri dalla costa;
1.6) euro 0,41 per gli specchi acquei oltre 300 metri dalla costa;
1.7) euro 0,21 per gli specchi acquei utilizzati per il posizionamento di campi boa per l’ancoraggio delle navi al di fuori degli specchi acquei di cui al numero 1.3);».
2.2. Con riguardo, poi, alle concessioni comprensive di pertinenze demaniali marittime il punto 2° della lettera b) ha altresì previsto che si applicassero, a decorrere dal 1° gennaio 2007, i seguenti criteri:
«2.1) per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il canone è determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento. L’importo ottenuto è moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5 Il canone annuo così determinato è ulteriormente ridotto delle seguenti percentuali, da applicare per scaglioni progressivi di superficie del manufatto: fino a 200 metri quadrati, 0 per cento; oltre 200 metri quadrati e fino a 500 metri quadrati, 20 per cento; oltre 500 metri quadrati e fino a 1.000 metri quadrati, 40 per cento; oltre 1.000 metri quadrati, 60 per cento. Qualora i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare non siano disponibili, si fa riferimento a quelli del più vicino comune costiero rispetto al manufatto nell’ambito territoriale della medesima regione;».
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3. La tesi prevalente nella prassi amministrativa secondo cui l’importo del canone demaniale debba essere calcolato tenendo conto della destinazione dei manufatti privati ricadenti su zona demaniale. Sua critica.
3.1. Nella prassi maggioritaria dell’Agenzia del Demanio e delle Amministrazioni titolari dei poteri gestori sul demanio marittimo viene assimilata la concessione di aree con annessi fabbricati produttivi con la concessione di aree su cui insistano, per diritto di superficie, manufatti di proprietà privata.
3.2. Invero, in questa seconda ipotesi, secondo il Consiglio di Stato (Sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7505), debbono trovare applicazione i canoni tabellari di cui all’art. 1, comma 251°, punto 1°, lett. b) legge n. 296/2006.
Infatti, nel caso in cui al privato non venga concesso un bene produttivo, bensì un’area demaniale di per sé priva di destinazione produttiva, l’occupazione di essa deve essere assimilata al suolo di proprietà pubblica.
Ciò in quanto finalità della novella del 2006 «è quello di consentire all’Amministrazione di trarre giusti proventi dai beni di proprietà pubblica, ma non al di là dell’utilità che i beni stessi, in base alle caratteristiche loro proprie, sono idonei a fornire, con correlativa acquisizione di valore commerciale. Quando, pertanto, come nel caso di specie, la pertinenza demaniale marittima non sia di per sé idonea ad avere destinazione produttiva, deve ritenersi che la stessa – quando utilizzabile solo come supporto materiale di appoggio – sia assimilabile al suolo, di proprietà pubblica, indipendentemente dal fatto che sullo stesso siano installati immobili ad uso produttivo, il cui utilizzo compete a chi ne sia proprietario» (sent. n. 7505/2010).
Se così non fosse, l’Ente proprietario dell’area demaniale concessa a privati conseguirebbe un indebito arricchimento, atteso che il medesimo Ente trarrebbe dal bene «proventi, resi possibili solo dalla realizzazione del manufatto di proprietà privata» (sent. n. 7505/2010, per la quale «coerentemente ai principi qui affermati, del resto, la stessa Agenzia del Demanio, con circolare n. prot. 2007/21259/ACS-NOR del 29.5.2007, aveva chiarito che “il canone commisurato ai valori di mercato, di cui al comma 251 della legge finanziaria 2007…trova applicazione esclusivamente per i manufatti costituenti pertinenze demaniali……., all’interno dei quali si svolge attività commerciale, terziario-direzionale o di produzione di beni e di servizi”»).
3.3. In applicazione dei suesposti principi consegue, pertanto, che nei riguardi delle aree demaniali scoperte o temporaneamente occupate mediante manufatti precari amovibili, debbono trovare applicazione i canoni tabellari di cui all’art. 1, comma 251, punto 1°, lettera b) l. n. 296/2006.
In tale ipotesi, infatti, le aree demaniali concesse ai privati non possono ritenersi di per sé produttive, mentre i proventi che derivino dallo sfruttamento economico delle stesse dipendono esclusivamente dalla destinazione produttiva dai manufatti di proprietà privata ivi ricadenti.Avv. Ettore Nesi
e.mail: avvocato.nesi@studiolegalepn.it

(data inserimento: 27 aprile 2012)