Violazione o elusione del decisum cautelare e concentrazione nell’alveo del giudizio di ottemperanza delle questioni afferenti all’attuazione del comando cautelare

di Ettore Nesi (articolo pubblicato sul numero n. 10/2013 della Rivista NEL DIRITTO)

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ABSTRACT – La codificazione del 2010 ha attribuito al giudice della cautela sia il potere di disporre le misure attuative del decisum cautelare, ove i provvedimenti cautelari non siano eseguiti in tutto o in parte (art. 59 c.p.a.), sia il potere di dichiarare inefficaci gli atti emessi in violazione o in elusione del medesimo decisum cautelare (art. 114, comma 4, lett. c c.p.a.).

Prendendo le mosse dal diritto vivente, secondo cui l’atto emesso in elusione o in violazione del comando cautelare deve ritenersi sostanzialmente nullo, si vedrà come tale tesi debba essere rimeditata alla luce delle disposizioni del codice del processo amministrativo. Da un lato, infatti, la nullità del provvedimento elusivo/violativo del comando cautelare sembra inconciliabile con la natura interinale e strumentale della tutela cautelare; dall’altro lato, l’actio nullitatis, nel caso di atti elusivi/violativi di comandi cautelari, andrebbe esercitata nel termine decadenziale di 180 gg, decorrente dalla conoscenza dei medesimi atti, non trovando applicazione la deroga di cui all’art. 31, comma 4, ultima parte, c.p.a. la quale fa salva esclusivamente la disciplina dell’actio iudicati.

In una prospettiva processuale, ora codificata dall’art. 114, comma 4°, lett. c), l’atto elusivo/violativo del comando cautelare deve ritenersi un atto né nullo, né illegittimo, anche se non opponibile alla parte vittoriosa nella fase cautelare.

In conclusione si darà conto dell’applicabilità nel giudizio d’ottemperanza cautelare del principio di concentrazione delle questioni afferenti all’attuazione del decisum cautelare, recentemente affermato dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con riferimento all’attuazione del giudicato amministrativo. Si vedrà infatti come, nel giudizio cautelare, il giudice adito possa disporre la conversione dell’azione innanzi al giudice competente per la cognizione tutte quelle volte in cui l’atto, che si assume elusivo/violativo dell’ordine cautelare, debba invece ritenersi autonomamente lesivo, avendo coperto gli spazi di discrezionalità amministrativa lasciati vuoti dal comando del giudice della cautela.

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SOMMARIO

1.- Principio di effettività della tutela giurisdizionale e strumentalità della tutela cautelare. 2.- (segue): dalla sospensiva ablatoria al riconoscimento del potere del giudice della cautela di emanare le misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso. 3.- Poteri del Giudice Amministrativo per l’esecuzione dell’ordinanza di sospensione. 4.- La lettura estensiva dell’art. 21-septies legge n. 241/1990: nullità degli atti elusivi/violativi del comando cautelare. 5.- Critica alla tesi sostanzialistica. 6.- (segue): in particolare, la conseguente operatività del termine decadenziale previsto dall’art. 31, comma 4°, c.p.a. per far valere l’actio nullitatis. 7.- Tesi processuale: gli atti assunti in elusione o violazione del decisum cautelare non sono nulli, ma – interinalmente – privi di efficacia per ordine del Giudice Amministrativo. 8.- Riedizione del potere amministrativo in sede di remand cautelare e forma del ricorso esperibile dalla parte vittoriosa in sede cautelare.

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1. Principio di effettività della tutela giurisdizionale e strumentalità della tutela cautelare.

1.1. Compito dell’ordinamento processuale di giustizia amministrativa è quello di assicurare “tutela piena ed effettiva”, come espressamente previsto dall’art. 1 c.p.a., il quale richiama i principi della Costituzione e del diritto europeo[1].

Corollario del principio di effettività della tutela giurisdizionale è la tempestività di essa. Strumento processuale a garanzia di tale esigenza è la c.d. tutela cautelare.

Carattere fondamentale della tutela cautelare è infatti la sua strumentalità rispetto alla decisione di merito, poiché «la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione» (Corte Cost. n. 190 del 28 giugno 1985[2]).

1.2. Nel processo amministrativo, l’effetto tipico della tutela cautelare è da sempre la sospensione dell’atto amministrativo impugnato in sede giurisdizionale[3]. Tale potere venne inizialmente previsto dall’art. 12 legge 31 marzo 1889, n. 5992[4], poi riprodotto dapprima all’art. 31 del testo unico 17 agosto 1907, n. 638 e quindi all’art. 39 R.D. 26 giugno 1924, n. 1054[5].

Così pure la legge istitutiva dei T.A.R. si limitò a prevedere il potere di sospensione degli atti impugnati (cfr. art. 21 legge 6 dicembre 1971, n. 1034[6]).

Sino alla riforma del processo amministrativo di cui alla legge 21 luglio 2000, n. 205, il potere di sospendere gli atti amministrativi impugnati in sede giurisdizionale fu ritenuto connaturato al potere del Giudice Amministrativo di annullare gli atti illegittimi. Ciò in quanto la misura sospensiva consente «di anticipare, sia pure a titolo provvisorio, l’effetto tipico del provvedimento finale della giurisdizione, permettendo che questo intervenga re adhuc integra» (Corte Cost. sent. n. 284 del 27 dicembre 1974[7]).

Come osservato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 6 del 30 aprile 1982, dalla sospensione in sede giurisdizionale dell’atto amministrativo consegue «direttamente l’inidoneità temporanea degli atti sospesi a produrre effetti o di valere come presupposto di ulteriori provvedimenti, determinandosi in tal modo una situazione del tutto identica (salvo la sua transitorietà) a quella che si avrebbe se l’atto fosse annullato».

2. (segue): dalla sospensiva ablatoria al riconoscimento del potere del giudice della cautela di emanare le misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso.

Accanto alla misura “ablatoria” (TRAVI) del provvedimento amministrativo, si fece tuttavia strada nella giurisprudenza amministrativa la sospensiva dei c.d. provvedimenti negativi “con effetti positivi”[8], così da precludere, mediante la sospensione del provvedimento impugnato, l’adozione di atti ulteriori e successivi a quelli sospesi[9].

Sempre in via pretoria, venne altresì ammessa la sospendibilità del silenzio-inadempimento[10], nonché dei c.d. atti meramente negativi quali il diniego di autorizzazione commerciale[11].

Nel tempo la giurisprudenza amministrativa è pertanto riuscita a conquistare spazi nuovi e ulteriori rispetto a quelli definiti dal diritto positivo che, come detto, si limitava a prevedere la mera sospensiva degli atti impugnati.

In tal modo, a tutela della situazione sostanziale fatta valere in giudizio (assistita da fumus boni iuris e minacciata da pregiudizio imminente e irreparabile provocato dalla durata del processo), il giudice amministrativo ha finito per assicurare l’emanazione di provvedimenti d’urgenza che fossero apparsi, «secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito» (Corte Cost. sent. n. 190 del 28 giugno 1985).

Soltanto con l’art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205, poi sostanzialmente riprodotto nell’art. 55 c.p.a., sono stati però positivizzati il potere del G.A. di emanare le misure «più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso», nonché il potere di disporre misure cautelari provvisorie inaudita altera parte.

Sulla spinta della giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. Corte di Giust. C.E., 15 maggio 2003, Commissione contro Regno di Spagna, in causa C-214/00) è stata inoltre introdotta la tutela ante causam, dapprima limitatamente al settore degli appalti pubblici (cfr. art. 245, commi da 3 a 7, D.Lgs. n. 163/2006), e poi, in attuazione della delega contenuta all’art. 44, comma 2, lett. f) della legge n. 69/2009, a tutela di tutte le situazioni giuridiche sostanziali fatte valere dinanzi al Giudice Amministrativo (cfr. art. 61 c.p.a.).

3. Poteri del Giudice Amministrativo per l’esecuzione dell’ordinanza di sospensione.

Nella già citata decisione della Adunanza Plenaria n. 6 del 30 aprile 1982, venne osservato come il processo cautelare «si compie soltanto con l’attuazione della misura, rispetto alla quale la fase di cognizione in senso stretto va riguardata come momento necessario ma non finale del processo».

Nella medesima decisione venne inoltre affermato che, al fine di realizzare lo scopo per il quale il potere cautelare è finalizzato, e cioè permettere che la decisione di merito intervenga re adhuc integra (v. supra), «il potere (strumentale) di sospensione non può esaurirsi nell’emanazione di un provvedimento meramente cognitorio, essendo, invece, essenziale alla sua funzione l’esplicazione di effetti concretamente incidenti sulla efficacia degli atti (o dei comportamenti) impugnati nel giudizio» (A.P. n. 6/1982 cit.).

Da qui l’affermazione del principio secondo cui, laddove gli effetti caducatori della sospensione non siano sufficienti a tutelare in via cautelare gli interessi del ricorrente, «l’interessato ben può adire nuovamente il giudice chiedendo l’emanazione dei provvedimenti ritenuti idonei (e consentiti dal sistema) per assicurare l’esecuzione della sospensione» (Ad. Plen. n. 6/1982 cit.[12]).

Ciò osservato, la decisione n. 6/1982 introduce poi l’argomento che qui ci interessa e cioè la sorte dei provvedimenti amministrativi assunti in elusione o violazione del decisum cautelare[13].

Osserva infatti l’Adunanza Plenaria che il ricorrente può rivolgersi in sede cautelare allo stesso giudice che ha emanato la misura sospensiva non solo tutte le volte in cui la sospensione degli atti impugnati non sia ex se idonea ad assicurare il risultato della tutela interinale, ma anche nelle ipotesi in cui l’amministrazione rifiuti o eluda l’esecuzione della medesima misura sospensiva.

All’epoca in cui venne pronunciata la decisione n. 6/1982, la questione della sorte dei provvedimenti elusivi o contrari al decisum cautelare venne pertanto osservata dalla prospettiva processuale, al fine cioè di individuare il rimedio processuale idoneo ad assicurare l’utilità della tutela interinale.

La patologia dell’atto contrario o elusivo del decisum cautelare non venne tuttavia affrontata.

Tale tema è stato esaminato soltanto in epoca recente da giurisprudenza e dottrina, in particolare a seguito della novella di cui alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, la quale ha codificato tra le cause di nullità del provvedimento amministrativo l’elusione e la violazione del giudicato.

4. La lettura estensiva dell’art. 21-septies legge n. 241/1990: nullità degli atti elusivi/violativi del comando cautelare.

Il provvedimento amministrativo che violi o eluda la decisione assunta dal Giudice Amministrativo in sede cautelare solleva questioni di natura sostanziale e processuale, involgendo, da un lato, il tema della patologia del provvedimento amministrativo e, dall’altro lato, quello dell’effettività della tutela.

L’art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, il quale ha introdotto nel corpus della legge 7 agosto 1990, n. 241 il Capo IV-bis (“Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso“), ha codificato le ipotesi tassative e residuali di nullità del provvedimento amministrativo già desumibili dal formante giurisprudenziale[14]: nullità strutturale[15]; difetto assoluto di attribuzione[16]; nullità testuali[17] e, infine, violazione o elusione del giudicato[18].

In caso di elusione o violazione del decisum cautelare, per l’indirizzo prevalente, troverebbe applicazione la previsione di cui all’art. 21-septies legge n. 241/1990. La nozione di giudicato ivi richiamata dovrebbe infatti essere intesa in senso ampio, così da comprendere «tutte le pronunce immediatamente esecutive, quanto meno con riferimento alla portata del cosiddetto “giudicato cautelare”, intesa come stabilità processuale della decisione non più appellabile (modificabile solo attraverso lo strumento della revocazione, oppure in presenza di circostanze sopravvenute)» (Cons. St., Sez. V, 24 luglio 2007,  n. 4136).

Nel caso di misura cautelare sospensiva “ablatoria”, il decisum cautelare osterebbe “in radice” all’esercizio del potere di riesame da parte della P.A. (così Cons. St., Sez. VI, 17 luglio 2008,  n. 3606). Ciò in quanto, in quest’ipotesi, «il procedimento amministrativo oggetto di ricorso ha subito una valutazione negativa in sede cautelare»; con la conseguenza che il medesimo procedimento dovrebbe restare improduttivo di effetti sino alla decisione di merito (Cons. St., Sez. VI, sent. n. 3606/2008 cit.).

Da qui – a garanzia dell’effettività della tutela cautelare – la conclusione secondo cui sarebbe «applicabile la fattispecie di cui all’art. 21-septies legge 241/90, che sanziona con la nullità l’atto posto in essere in violazione o elusione del giudicato, tale intendendosi anche quello cautelare» (Cons. St., Sez. VI, sent. n. 3606/2008 cit.[19]).

Per questo primo indirizzo, anche la pronuncia cautelare di primo grado, così come la sentenza di prime cure non sospesa, reca «un “comando giurisdizionale”, che si impone inderogabilmente alle amministrazioni destinatarie, con il solo limite delle sopravvenienze di fatto o di diritto» (Cons. St., Sez. V, sent. n. 4136/2007); cosicché “in tale contesto sistematico” può configurarsi «il contrasto con ogni pronuncia esecutiva del giudice come una forma di patologia del provvedimento amministrativo certamente più grave della semplice annullabilità» (Cons. St., Sez. V,  n. 4136/2007).

La contrarietà dell’atto amministrativo con il decisum cautelare configurerebbe una di quelle ipotesi di “illegittimità forte”, assimilabile all’ipotesi di “difetto assoluto di attribuzione” «che determina comunque la nullità, per espressa previsione legislativa» (Cons. St., Sez. V, sent. n. 4136/2007 cit.; nello stesso senso Cons. St., Sez. VI, 4 giugno 2007,  n. 2950 secondo cui l’aggiudicazione definitiva avvenuta successivamente alla sospensione di quella provvisoria configura «un’ipotesi paradigmatica di carenza di potere sanzionata con la nullità ai sensi della regula juris sottesa al disposto dell’art. 21 septies, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241»).

Secondo Alcuni, la contrarietà tra decisum cautelare e provvedimento amministrativo potrebbe pertanto essere descritta come una nullità «per difetto temporaneo di attribuzione» (GAETANI[20]).

Con particolare riferimento alle c.d. ordinanze propulsive, la Sezione III del Consiglio di Stato, nell’ordinanza 30 novembre 2012, n. 4709 (emanata ex comb. disp. artt. 59 e 113 c.p.a. per l’attuazione della propria ordinanza cautelare n. 2942 del 27 luglio 2012) ha osservato che, ove il provvedimento imponga all’Amministrazione di riesaminare l’atto negativo (nella specie si trattava di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato), il giudicato cautelare spiega «effetti conformativi e/o propulsivi e vincola l’Amministrazione sotto il duplice profilo di dovervi dare esecuzione e di precluderle, a pena di nullità ex art. 21 septies l. n. 241 del 1990, l’adozione di qualsiasi atto che lo violi o lo eluda».

Nella medesima ordinanza della Sezione III viene tuttavia precisato che la riedizione da parte della P.A. della potestà decisionale in attuazione dell’ordinanza cautelare «sulla base dei limiti conformativi risultanti dalla motivazione del provvedimento stesso», non conforma «il contenuto della decisione nel merito, che peraltro solo ove confermi, con l’accoglimento del ricorso, la sussistenza del vizio riscontrato dal giudicante nella delibazione propria della fase cautelare, sarà poi in grado di conferire stabilità al rapporto amministrativo nascente dal nuovo atto da adottarsi a seguito dell’ordinanza cautelare» (Cons. St., Sez. III, ord. n. 4709/2012 cit.).

5. Critica alla tesi sostanzialistica.

L’applicazione dell’art. 21-septies, comma 2, legge n. 241/1990 ai provvedimenti amministrativi assunti in violazione o elusione del giudicato non appare tuttavia convincente.

5.1. Anzitutto, le cause di nullità del provvedimento amministrativo sono ipotesi tassative e residuali, il che potrebbe bastare ad escludere una lettura analogica della chiara lettera dell’art. 21-septies, intesa ad ampliare la nozione di giudicato così da ricomprendervi provvedimenti, come quelli cautelari, non suscettibili di acquistare efficacia di giudicato.

Come è noto, il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (art. 2909 c.c.) entro i limiti oggettivi, che sono segnati dagli elementi costitutivi, come tali rilevanti per l’identificazione dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si forma (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. V, 3 settembre 2013, n. 4377).

La nozione di giudicato si fonda su due disposizioni normative. La prima, di natura processuale e cioè l’art. 324 c.p.c., stabilisce che si intende passata in giudicato «la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395».

La seconda disposizione, cui l’interprete deve fare riferimento nell’individuazione della nozione di giudicato, è l’art. 2909 c.c., il quale fornisce la definizione di giudicato sostanziale: «l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa». Il giudicato sostanziale (art. 2909 cod. civ.), in quanto riflesso di quello formale (art. 324 cod. proc. civ.), fa perciò stato ad ogni effetto fra le parti relativamente all’accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso (cfr. Cass., Sez. Lav., 31 maggio 2013, n. 13807[21]).

Tradizionalmente, le misure cautelari sono tuttavia escluse dal novero dei provvedimenti giurisdizionali suscettibili di passare in giudicato; ciò stante il carattere strumentale e interinale della tutela cautelare, la quale è destinata a perdere efficacia con l’avvento della sentenza di merito[22].

Per tali ragioni, per un indirizzo giurisprudenziale, ormai minoritario, l’art. 21-septies legge n. 241/1990 atterrebbe alle sole ipotesi di contrasto del provvedimento con un giudicato formale e non disciplinerebbe le ipotesi in cui il provvedimento amministrativo contrasti con le statuizioni di un ordinanza cautelare, ancorché inoppugnabile. Ciò in quanto «la intrinseca provvisorietà delle misure cautelari, che possono essere modificate e revocate, non consente di attribuire alle stesse la definitività nella regolazione del rapporto proprie delle sentenze passate in cosa giudicata» (T.A.R. Liguria, Sez. II, 2 febbraio 2007,  n. 158, in www.giustizia-amministrativa.it[23]).

5.2. Quest’ultimo indirizzo è stato criticato dall’orientamento fautore della lettura estensiva dell’art. 21-septies legge n. 241/1990, in quanto disattenderebbe le esigenze di effettività di tutela sottese all’applicazione analogica di quest’ultima disposizione.

Non sembra tuttavia che l’esigenza di assicurare l’effettività della tutela interinale possa legittimare l’applicazione in via analogica dell’art. 21-septies cit. al decisum cautelare. Anzi.

La prospettiva sostanzialistica finisce per complicare quella processuale.

Anche ammettendo che la violazione o l’elusione della decisione cautelare del G.A. determini la nullità del provvedimento amministrativo, è nondimeno evidente che si tratterebbe di una patologia interinale da cui il medesimo provvedimento potrebbe guarire, all’esito del giudizio di merito e dal conseguente passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce.

La nullità di un provvedimento amministrativo, perché emesso in elusione o in violazione del decisum cautelare, pare insomma inconciliabile con la natura interinale della tutela cautelare.

6. (segue): in particolare, la conseguente operatività del termine decadenziale previsto dall’art. 31, comma 4°, c.p.a. per far valere l’actio nullitatis.

Anteriormente alla codificazione del 2010, l’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’art. 21-septies legge n. 241/1990 sarebbe applicabile anche ai comandi cautelari, osservava che i provvedimenti «contrastanti con pronunce giurisdizionali sono affetti da nullità e non richiedono di essere impugnati nel termine di decadenza» (Cons. St., Sez. V, 24 luglio 2007,  n. 4136).

Il comma 4° dell’art. 31 c.p.a. ha tuttavia introdotto il termine decadenziale di 180 giorni per la proposizione della actio nullitatis.

Anche se l’ultima parte del citato comma 4° fa salva la disciplina speciale del rito d’ottemperanza, tale deroga è limitata al caso in cui venga denunciata la nullità di eventuali atti assunti in violazione o elusione del “giudicato” (lettera b dell’art. 114, comma 4°, c.p.a.).

La nozione di giudicato di cui alla lettera b) dell’art. 114, comma 1, c.p.a. deve peraltro intendersi strettamente riferita al giudicato formale, atteso che all’elusione o alla violazione di sentenze non passate in giudicato e di altri provvedimenti del G.A., il codice del processo amministrativo dedica la lettera c) del medesimo comma 4° dell’art. 114 c.p.a.

Di talché – salvo ritenere che la lettera b) dell’art. 114, comma 4°, c.p.a. disciplini anche l’ottemperanza di provvedimenti diversi dalle sentenze passate in giudicato – dovrebbe allora escludersi la possibilità di applicare in via analogica il comma 4° ultima parte dell’art. 31 c.p.a. alle ipotesi contemplate alla lettera c) del comma 4° dell’art. 114 c.p.a.[24]

Da qui l’inferenza secondo cui l’actio nullitatis, nel caso di atti elusivi/violativi del decisum cautelare, dovrebbe essere esercitata nel termine decadenziale previsto dall’art. 31, comma 4°, c.p.a. e cioè 180 giorni dalla conoscenza o conoscibilità dell’atto nullo.

Ma tale conclusione comprimerebbe ingiustificatamente il diritto di difesa della parte vittoriosa nella fase cautelare.

7. Tesi processuale: gli atti assunti in elusione o violazione del decisum cautelare non sono nulli, ma – interinalmente – privi di efficacia per ordine del Giudice Amministrativo.

L’applicabilità in via analogica dell’art. 21-septies legge n. 241/1990 all’ipotesi di atti amministrativi contrari a decisioni cautelari rischia pertanto di vulnerare proprio quel principio di effettività della tutela, che l’orientamento sostanzialistico intenderebbe invece assicurare mediante la lettura estensiva della nozione di giudicato.

Sennonché, le esigenze di effettività della tutela cautelare possono essere garantite senza che occorra forzare la lettera dell’art. 21-septies legge n. 241/1990.

Infatti, la lettera c) dell’art. 114, comma 4°, c.p.a. stabilisce che, nel caso di inottemperanza delle sentenze non passate in giudicato e degli altri provvedimenti, sono inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione.

Tale disposizione è pacificamente interpretata nel senso di ammettere l’esperimento del ricorso per ottemperanza anche per ottenere l’esecuzione di ordinanze cautelari[25].

Al riguardo è stato osservato in dottrina (CINTIOLI) che, nel caso di elusione o violazione del comando cautelare, ci si trova davanti ad “una diversa forma di patologia” che non corrisponde né alla nullità, né alla mera annullabilità-illegittimità. Secondo tale A., «il legislatore sembra che voglia proprio emanciparsi dalla dimensione della illegittimità e parrebbe voler risparmiare al ricorrente l’onere dell’ulteriore impugnazione del provvedimento, allorché invoca l’esecuzione di un provvedimento cautelare a sé favorevole» (F. Cintioli, Ottemperanza e prospettive del rito cautelare, in Foro Amm., 2011, p. 1123 e ss.).

Per il medesimo Autore l’inefficacia dell’atto conseguirebbe ad una sorta di consumazione del potere amministrativo per effetto dell’avvio del processo e per la pronuncia dell’ordinanza cautelare e «tale inefficacia si verrebbe in qualche modo a saldare con la nullità quando anche l’effetto cautelare si fosse saldato con quello del giudicato». Cosicché l’inefficacia «sembra una sorta di effetto anticipato di quella che sarà la nullità destinata a formarsi una volta che l’effetto della misura cautelare si sarà fuso nel giudicato».

Potremmo tuttavia ritenere che l’atto, pur inefficace, non sia né illegittimo, né nullo[26].

La comminatoria di inefficacia non sanzionerebbe cioè un vizio dell’atto; potremmo invece configurarala come un rimedio processuale, di natura interinale e strumentale alla decisione di merito.

L’emanazione di atti in violazione o in elusione del decisum cautelare non sarebbe sintomatica di una patologia sostanziale in attesa di conclamarsi. Più semplicemente, potrebbe sostenersi che l’emanazione di atti elusivi/violativi del comando cautelare costituisca la condizione legittimante l’azione ex art. 114 c.p.a., la quale è diretta non tanto a sanzionare vizi autonomi degli atti elusivi/violativi, quanto a dare attuazione al provvedimento cautelare; attuazione che – come visto sopra – va considerata «come un momento necessario e indispensabile perché il processo cautelare abbia una reale ed effettiva ragione d’essere», poiché il «processo cautelare si compie soltanto con l’attuazione della misura, rispetto alla quale la fase di cognizione in senso stretto va riguardata come momento necessario ma non finale del processo» (Adunanza Plenaria n. 6 del 30 aprile 1982).

L’esigenza di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale interinale non abbisogna insomma della previsione di cui all’art. 21-septies legge n. 241/1990 e del resto l’elusione e la violazione del comando cautelare giurisdizionale potrebbero essere efficacemente sanzionate anche in difetto di tale disposizione, dovendosi ricavare l’inefficacia degli atti violativi/elusivi del comando cautelare dai principi desumibili dagli artt. 24, 111 e 113 Cost.

È infatti evidente che il ricorrente, che abbia conseguito una misura cautelare favorevole in sede giurisdizionale, sia facultato a domandarne al Giudice l’ottemperanza fintantoché ne abbia interesse. Il solo limite alla tutela cautelare non può che essere l’intervenuta definizione nel merito del giudizio da cui è scaturita la fase incidentale cautelare.

Il provvedimento amministrativo che eluda o violi il decisum cautelare non pone insomma una questione di natura sostanziale, bensì una meramente processuale e cioè l’inopponibilità di tale provvedimento al ricorrente vittorioso in sede cautelare.

Senza bisogno di dover scomodare la categoria della nullità dell’atto, l’esigenza di effettività di tutela pare pertanto essere meglio assicurata dall’affermazione, oltretutto positivizzata dal vigente codice, dell’inefficacia dei provvedimenti amministrativi contrari o elusivi del decisum cautelare.

A conferma del fatto che l’atto emesso in elusione o in violazione del comando cautelare non sia viziato, non può non rilevarsi che – al di fuori del giudizio inter partes – il medesimo atto resterà invece valido e efficace. Nel caso, ad esempio di atti soggettivamente plurimi, l’atto elusivo al giudicato cautelare o contrario ad esso resterebbe inefficace nei confronti della parte vittoriosa nella fase cautelare, ma al contempo sarebbe efficace ed esecutivo nei riguardi di coloro che non fossero stati beneficiari della tutela cautelare del G.A. (basti qui ricordare agli atti approvativi di graduatorie o agli atti delle procedure espropriative).

8. Riedizione del potere amministrativo in sede di remand cautelare e forma del ricorso esperibile dalla parte vittoriosa in sede cautelare.

8.1. Si è già detto che l’azione ex art. 114, comma 4, lett. c) c.p.a. contro atti emessi in violazione o in elusione del decisum cautelare sia esperibile fintantoché il giudizio di merito non sia definito con sentenza.

Siffatta conclusione, alla quale giungono anche i sostenitori della lettura estensiva dell’art. 21-septies legge n. 241/1990, è del resto imposta dai principi di effettività della tutela, più sopra ricordati.

Appare tuttavia ancora aperta la questione dei rimedi di tutela a disposizione del ricorrente vittorioso in sede cautelare allorché la P.A. emetta provvedimenti non satisfattivi, ma nemmeno in contrasto con il comando cautelare.

In effetti, in dottrina e giurisprudenza è pacificamente ammesso che l’emanazione di una misura cautelare in pendenza del giudizio non consumi il potere della P.A. censurato in sede cautelare. In particolare, nel caso in cui la misura sospensiva sia stata adottata attraverso la c.d. tecnica del remand[27], ossia «mediante la fissazione delle coordinate operative e sistematiche cui informare la concreta riedizione del potere» (Cons. St., Sez. IV, 4 febbraio 2013,  n. 651), l’Amministrazione non vede limitata la propria attività conformativa alla mera rimozione del provvedimento negativo oggetto di impugnativa, «altrimenti venendo meno il “continuum” funzionale (anche in chiave procedimentale) che necessariamente deve intercorrere fra il “jussum” giudiziale (quand’anche impartito nella forma dell’ordinanza cautelare atipica) e le conseguenze conformative, risolventisi nella riedizione del potere, secondo l’assetto delineato attraverso il comando del giudice» (Cons. St., Sez. IV, sent. n. 651/2013 cit.).

Cosicché l’atto emanato dalla P.A. all’esito del remand non può perciò stesso porsi in contrasto con l’ordinanza cautelare, «costituendo, attraverso l’integrazione della parte motiva, un rinnovato e approfondito esercizio dei poteri discrezionali dell’Amministrazione» (Cons. St., Sez. IV, sent. n. 651/2013 cit.).

8.2. Ciò premesso occorre peraltro chiedersi quali siano i rimedi di tutela esperibili dalla parte vittoriosa nella fase cautelare avverso gli atti amministrativi emanati dalla P.A. all’esito di misure cautelari c.d. propulsive.

Secondo un primo indirizzo, la nuova determinazione amministrativa sarebbe in ogni caso un provvedimento sostitutivo di quello impugnato (e sospeso in sede giurisdizionale), con la conseguenza che il ricorso originario diverrebbe improcedibile (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 12 dicembre 2011, n. 3141).

Secondo alcuni Autori (SABBATO), l’onere di impugnativa scaturirebbe soltanto nel caso in cui «il nuovo atto sia espressione di quel diaframma di discrezionalità non interessato dalla pronuncia del giudice in sede cautelare, di talché, trovando scaturigine da un libero riesame del provvedimento originariamente impugnato, è meritevole di essere oggetto di una nuova impugnativa mediante motivi aggiunti»[28].

Con la conseguenza che, nei casi in cui la riedizione del potere amministrativo contrasti o eluda il decisum cautelare, sarebbe allora esperibile il rimedio ex art. 114, comma 4, lett. c) al fine di sentir dichiarare l’inefficacia della nuova determinazione amministrativa.

Cosa accade però nel caso in cui il ricorrente esperisca l’azione ex lettera c) dell’art. 114, comma 4, c.p.a., ma il giudice della cautela ritenga che nessuna violazione o elusione del decisum cautelare si sia consumata?

Dal punto di vista pratico la questione è di non poco conto, poiché l’azione ex art. 114, comma 4°, c.p.a. non è sottoposta a termini decadenziali, mentre l’azione impugnatoria non può che osservare i termini decadenziali suoi propri.

Nel dubbio, ragioni di cautela processuale dovrebbero consigliare alla parte vittoriosa in sede cautelare di notificare il ricorso ex art. 114 c.p.a., osservando anche le forme del ricorso impugnatorio ordinario ex artt. 40 e 41 c.p.a. (o dei motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a.).

Ove però fosse lamentata la violazione o l’elusione del decisum cautelare emesso dal Consiglio di Stato e che non fosse confermativo dei provvedimenti di primo grado (cfr. art. 113, comma 1°, c.p.a.), non resterebbe che proporre due ricorsi autonomi: uno nelle forme ordinarie e volto ad accertare l’illegittimità dell’atto amministrativo consequenziale al comando cautelare; l’altro ricorso nelle forme previste dagli artt. 112 e ss. c.p.a. e volto ad accertare l’inefficacia dell’atto consequenziale.

8.3. Utili indicazioni, sull’uso degli strumenti di tutela giudiziaria a disposizione del ricorrente vittorioso nella fase cautelare, potrebbero peraltro essere desumibili dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 15 gennaio 2013. In tale sentenza è stato infatti affrontato il tema (contiguo a quello che ci occupa) dell’oggetto, dei contenuti e dei limiti del giudizio di ottemperanza del giudicato amministrativo e della necessità di evitare duplicazioni dei giudizi, allorché la riedizione del potere amministrativo (successiva al giudicato) abbia comportato l’emanazione di un atto non elusivo o in violazione del giudicato, ma autonomamente lesivo della pretesa del ricorrente (cfr. ordinanza di rimessione Cons. St., Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2024).

Nella decisione n. 2/2013 dell’Adunanza Plenaria viene osservato che, nel giudizio delineato dagli artt. 112 e ss. c.p.a., il giudice dell’ottemperanza «deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto».

Cosicché deve ritenersi ammissibile un solo ricorso «in luogo dei due che la parte è spesso, per ovvie ragioni di “cautela processuale”, necessitata ad esperire avverso i provvedimenti emanati dall’amministrazione successivamente al giudicato di annullamento di proprio precedente provvedimento» (Ad. Plen. sent. n. 2/2013 cit.).

Secondo la citata Adunanza Plenaria, infatti, può ammettersi che, «al fine di consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere, conseguente ad un giudicato, le doglianze relative vengano dedotte davanti al giudice dell’ottemperanza, sia in quanto questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza, sia in quanto egli è il giudice competente per l’esame della forma di più grave patologia dell’atto, quale è la nullità» (Ad. Plen. sent. n. 2/2013 cit.).

Starà poi al giudice adito ex art. 112 e ss. c.p.a. qualificare le domande prospettate (di nullità per violazione/elusione del giudicato e di illegittimità), distinguendo quelle che afferiscono all’elusione o alla violazione del giudicato da quelle che hanno invece a che fare con la riedizione del potere amministrativo. Con la conseguenza che, nel caso in cui il giudice dell’ottemperanza ritenesse non sussistente la dedotta violazione/elusione del giudicato, non potrà che disporre la conversione dell’azione e la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione, così come ammesso dall’art. 32, comma 2, c.p.a.; fermo restando che l’azione ex art. 114 c.p.a., per poter beneficiare della conversione del rito (da quello d’ottemperanza a quello ordinario) dovrà essere proposta entro il termine decadenziale e non quello prescrizionale dell’actio iudicati dinanzi al giudice dell’ottemperanza, il quale soltanto è competente in via esclusiva a conoscere della elusione o della violazione del giudicato ex comb. disp. art. 21-septies legge n. 241/1990 e art. 114, comma 4, lett. b) c.p.a. (cfr. Ad. Plen. sent. n. 2/2013 cit.).

I medesimi principi paiono applicabili all’ipotesi in cui il ricorrente lamenti la violazione/elusione del decisum cautelare.

Da un lato, anche nel caso del giudizio cautelare, valgono i principi di effettività della tutela giurisdizionale e di ragionevole durata del processo, che ispirano la sentenza dell’Adunanza Plenaria. In base a tali principi il diritto di ottenere l’esecuzione della misura cautelare favorevole non può che avvenire in tempi rapidi e senza la necessità di dover attivare un ulteriore giudizio di cognizione.

Dall’altro lato, il quadro normativo esaminato dall’Adunanza Plenaria è pur sempre il Titolo I del Libro IV del c.p.a., nel quale trova asilo anche l’attuazione dei provvedimenti cautelari del Giudice Amministrativo.

In conclusione, alla stregua dei principi desumibili dalla Adunanza Plenaria n. 2/2013, la sola cautela processuale, che dovrebbe essere seguita dal ricorrente vittorioso nella fase cautelare, sarebbe quella di agire ex art. 114, comma 4, lett. c) c.p.a., osservando il termine decadenziale previsto per la proposizione del ricorso ordinario. In questa ipotesi, infatti, ove il Giudice dell’ottemperanza cautelare non ritenesse sussistente la denunciata violazione/elusione del decisum cautelare, potrebbe comunque disporre la conversione del rito ex art. 32 cod. proc. amministrativo, assegnando un termine per la riassunzione del ricorso dinanzi al giudice competente.



[1] Per diritto europeo debbono intendersi sia le fonti comunitarie, sia la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali. Ai sensi del comma 1° dell’art. 47 (“Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea «ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice». Al comma 2° del citato art. 47 è inoltre previsto che «ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge».

Il diritto comunitario ha imposto alla giurisdizione amministrativa adeguamenti del sistema di garanzie del giudizio cautelare dinanzi al Giudice Amministrativo. Con Corte di Giustizia 19 giugno 1990, causa C 213/89, Factortame, venne affermato il principio secondo cui la piena efficacia del diritto comunitario impone la disapplicazione della normativa interna che impedisca al giudice nazionale «di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario».

Con specifico riferimento alle misure cautelari ante causam si ricordano le decisioni della Corte di Giustizia 21 febbraio 1991, in C-143/88 e C-92/89, Zuckerfabrik; Id., 9 novembre 1995, in C-465/93, Atlanta; Id. 29 aprile 2004, in C-202/03.

In dottrina, v. G. Morbidelli, La tutela giurisdizionale dei diritti nell’ordinamento comunitario, Milano, 2001; M.P. Chiti, G. Greco, Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007; S. Mirate, Giustizia amministrativa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 2007; E. Picozza, L’influenza del diritto comunitario nel processo amministrativo, in Processo amministrativo e diritto comunitario, a cura di E. Picozza, Padova, 2003; V. Cerulli Irelli, Trasformazioni del sistema di tutela giurisdizionale nelle controversie di diritto pubblico per effetto della giurisprudenza europea, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2008, p. 433 e ss.; P. de Lise, Corte europea dei diritti dell’uomo e giudice amministrativo, in Giustizia-amministrativa.it; P.M. Zerman, Europa: il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali, in Giustizia-amministrativa.it; A. Travi, Lezioni di Giustizia amministrativa, Torino, 2012, p. 85 e ss.

[2] V. altresì Corte Cost. 1° febbraio 1982, 8; Id. 16 luglio 1996, n. 249; Id.; Consiglio di Stato, A.P., 8 ottobre 1982, n. 17, in Dir. proc. amm., 1983, 97 e ss.; più di recente v. T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, ordinanza 10 luglio 2013, n. 3580 «la tutela cautelare è garanzia essenziale e strumento necessario per l’effettivo soddisfacimento dei diritti e degli interessi legittimi che costituiscono l’oggetto del giudizio, evitando che il tempo necessario per la definizione della causa determini un pregiudizio grave e irreparabile per le pretese sostanziali della parte che ha ragione».

In termini generali P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova 1936, 21 ss., ora in Opere giuridiche, Napoli 1983, IX, 157 ss.; E. Merlini, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. Disc. Priv. Sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 393 e ss.

In tema di strumentalità della tutela cautelare nel processo amministrativo: M. Allena, La tutela cautelare da rimedio tipico a rimedio atipico: i principi di strumentalità e interinalità, in La tutela cautelare e sommaria nel nuovo processo amministrativo, a cura di F. Freni, Milano, 2011, p. 60; M. Andreis, La tutela cautelare, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di R. Caranta, Bologna, 2011, p. 344 e ss.; A. Borghini, La tutela cautelare, in Manuale di diritto processuale amministrativo, a cura di F. Caringella, M. Protto, Roma, 2011; F. Goisis, Nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 febbraio 2010, n. 537, sez. VI, in Dir. proc. amm., 2011, pag. 286 e alla bibliografia ivi richiamata.

[3] Tra i contributi monografici più recenti in tema di tutela cautelare, si segnalano M. V. Lumetti, Processo amministrativo e tutela cautelare, Padova, 2012; R. Leonardi, La tutela cautelare nel processo amministrativo, Milano, 2010.

[4] Disponeva l’art. 12 legge n. 5992/1889: «i ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo. Tuttavia la esecuzione dell’atto o del provvedimento può essere sospesa per gravi ragioni, con decreto motivato dalla quarta sezione sopra istanza del ricorrente».

[5] A. Travi, Sospensione del provvedimento impugnato (ricorso giurisdizionale amministrativo e ricorso amministrativo), in Enc. dir., 1997, 372 e ss.; E. Follieri, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981.

[6] Così disponeva l’ultimo comma dell’art. 21 legge 6 dicembre 1971, n. 1034: «Se il ricorrente, allegando danni gravi e irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto, ne chiede la sospensione, sull’istanza il tribunale amministrativo regionale pronuncia con ordinanza motivata emessa in camera di consiglio».

[7] Osserva la Corte Costituzionale nella sentenza n. 284/1974 citata nel testo: «posto che il potere di sospensione della esecuzione dell’atto amministrativo è un elemento connaturale di un sistema di tutela giurisdizionale che si realizzi in definitiva con l’annullamento degli atti della pubblica amministrazione e che le citate leggi sugli organi di giustizia amministrativa, in via generale e in conformità di una lunga tradizione storica, consentendo di valutare caso per caso la ricorrenza delle gravi ragioni (o del pericolo di irreparabilità degli effetti della esecuzione), una esclusione del potere medesimo o una limitazione dell’area di esercizio di esso con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi o al tipo del vizio denunciato contrasta col principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 della Costituzione, qualora non ricorra una ragionevole giustificazione del diverso trattamento». Nello stesso senso v. altresì Corte Costituzionale sent. n. 227 del 17 luglio 1975; Id., sent. n. 8 del 1° febbraio 1982.

[8] A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2012, p. 280; Id., Misure cautelari di contenuto positivo e rapporti tra giudice amministrativo e pubblica amministrazione, nota a Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 1996, n. 1210, in Dir. proc. amm., 1997, 167; M.P. Chiti, La tutela cautelare, in Diritto processuale amministrativo, a cura di A. Sandulli, Milano, 2007, p. 187; R. Garofoli, La tutela cautelare degli interessi negativi. Le tecniche del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. proc. amm., 2002, pag. 857; M. Sica, Effettività della tutela giurisdizionale e provvedimenti di urgenza nei confronti della Pubblica Amministrazione, Milano, 1991.

[9] Cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 8 ottobre 1982, n. 17, secondo cui può ammettersi in via cautelare l’ammissione con riserva di candidato all’esame di maturità, senza che ciò si risolva nell’emissione di un giudizio di ammissione riservato al potere amministrativo. «L’ordinanza di sospensione opera sull’effetto preclusivo del provvedimento di non ammissione e per conseguenza consente l’ammissione condizionata del candidato all’esame».

[10] V. T.A.R. Campania, ordinanza 27 aprile 1983, n. 374, in Materiali del diritto amministrativo, a cura di D. Sorace, M. Marzuoli, A. Corpaci, Padova, 1994, p. 279. Osserva il T.A.R. Campania: «l’accoglimento dell’istanza di sospensione riferito a un comportamento omissivo paralizza gli effetti di tale comportamento, non nel senso di fare riespandere una pregressa posizione giuridica, prima inesistente, ma nel senso, analogo a quello che si verifica in caso di sospensione del provvedimento negativo, di puntualizzare a carico dell’amministrazione il dovere di esaminare medio tempore, e cioè in attesa della decisione di merito, l’istanza del ricorrente».

[11] Cfr. T.A.R. Sicilia Catania, ord. 26 marzo 1985, n. 282, in Materiali del diritto amministrativo, cit., p. 281.

[12] Sul tema dell’esecuzione del decisum cautelare, v. S. Baccarini, Esperienze e prospettive del giudizio cautelare amministrativo, in Dir. proc. amm., 1998, 865 ss.; R. Villata, Esecuzione delle ordinanze di sospensione e giudizio di ottemperanza, nota a Cons. St., Ad. Plen., 30 aprile 1982, n. 6, in Dir. proc. amm., 1983, 97 e ss.; E. Follieri, Esecuzione delle ordinanze cautelari del giudice amministrativo, in Foro amm., 1982, 629.

[13] In termini generali, quanto alla differenza tra violazione e elusione del giudicato, si ricorda che, in tema di giustizia amministrativa, l’elusione del giudicato sussiste «in quei casi in cui l’Amministrazione, piuttosto che riesercitare la propria potestà discrezionale in conclamato contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo, cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che la giustificano» (Cons. St., Sez. IV, 4 marzo 2011, n. 1415; nello stesso senso, più di recente, Id. 23 aprile 2013,  n. 2260).

In dottrina, in tema di giudicato amministrativo, F. Satta, Brevi note sul giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2007, pag. 302; A. Travi, Il giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2006, 912; C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005; C. Calabrò, voce Giudicato (diritto processuale amministrativo), in Enc. giur., Roma, 2003; M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989; M. Nigro, Il giudicato amministrativo ed il processo di ottemperanza, in Il giudizio di ottemperanza, Atti del XXVII convegno di studi di scienza dell’amministrazione, 17-19 settembre 1981, Milano, 1983, 83; F. Benvenuti, Giudicato (dir. amm.), in Enc. dir., 1969, v. XVIII, 893.

[14] Anteriormente alla Riforma del 2005 la disciplina della nullità del provvedimento amministrativo era governata da principi di formazione pretoria, in base ai quali la nullità del provvedimento amministrativo non avrebbe potuto che riguardare vizi dell’atto diversi da quelli che ne avrebbero comportato l’annullabilità. La violazione di norme imperative (c.d. nullità virtuale), diversamente da quanto previsto dal comma 1° dell’art. 1418 cod. civile, non determina invece la nullità del provvedimento amministrativo. La violazione di legge viene espressamente sussunta tra le cause di annullabilità dell’atto, con la conseguenza che la violazione di norme imperative si converte in cause di annullabilità del provvedimento amministrativo. Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2007, n. 3173: «nel diritto amministrativo la nullità costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi, oggi meglio definiti dal legislatore, in cui sia specificamente sancita dalla legge, mentre l’annullabilità del provvedimento costituisce la regola generale di invalidità del provvedimento, a differenza di quanto avviene nel diritto civile dove la regola generale in caso di violazione di norme imperative è quella della nullità». Più di recente Cons. St., Sez. V, 15 marzo 2010,  n. 1498: «le ipotesi astrattamente riconducibili alla nullità c. d. virtuale vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell’amministrazione. Quindi esse si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza, a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo». Nello stesso senso la recentissima decisione del Cons. St., Sez. III, 2 settembre 2013, n. 4364. Sul punto v., ex multis, A. Carbone, Autorizzazione unica per la costruzione di impianti eolici e conferenza di servizi: sul valore procedimentale del dissenso qualificato, nota a Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2012 n. 3039, in Riv. giur. edil., 2012, pag. 719 e ss.; F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, p. 147 ss., E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 557 ss.; V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2011, p. 475 ss.; G. Crepaldi, La nullità del provvedimento per violazione od elusione del giudicato: profili sostanziali e processuali, in Foro Amm. – C.d.S. (Il), 2011, pag. 3720; F. Luciani, Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, Torino, 2010; A. Carbone, La nullità e l’azione di accertamento nel processo amministrativo, in Dir. amm., 2009, 795 ss.; N. Paolantonio, Nullità dell’atto amministrativo, in Enc. Dir., Annali, I, Milano, 2008, p. 871; G. Zarro, L’archetipo della nullità virtuale in diritto amministrativo, in Foro amm. Tar, 2007, p. 3990; D. Ponte, La nullità del provvedimento amministrativo, Milano, 2007.

[15] Tradizionalmente sono ricondotti nel novero dei vizi determinanti la nullità e non l’annullabilità dell’atto quelli riguardanti elementi strutturali dell’atto stesso. La c.d. nullità strutturale dell’atto amministrativo si verifica, in analogia con quanto disposto dal comma 2° dell’art. 1418 cod. civile, il difetto di uno degli elementi essenziali dell’atto (soggetto, oggetto, forma ed aspetto funzionale).

[16] Secondo la dottrina prevalente (cfr. V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2010, 471) con l’espressione “difetto assoluto di attribuzione” il legislatore avrebbe inteso riferirsi alla c.d. carenza di potere in astratto e cioè alle ipotesi in cui difetti la norma attributiva del potere esercitato dalla P.A. Tradizionalmente tale vizio si distingue dalla carenza di potere in concreto, che si ha quando il potere, pur attribuito alla P.A., sia stato esercitato in difetto dei presupposti.

In giurisprudenza vengono inoltre individuate ipotesi di c.d. “illegittimità forte” che determinerebbero la nullità dell’atto amministrativo, ancorché non sancite espressamente. Si riconducono nel novero delle illegittimità forti ad es. i provvedimenti di proroga della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza emanati successivamente alla scadenza del termine legale di efficacia della dichiarazione stessa. Cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 12 febbraio 2009, n. 347; T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, 13 settembre 2011,  n. 1539. Viene osservato dall’indirizzo in esame come «la nullità in senso tecnico dell’atto amministrativo, intesa come “illegittimità forte” dell’atto stesso – intrinsecamente diversa dalla mera illegittimità, che è la qualificazione tradizionale del provvedimento non conforme a legge – risponde all’esigenza di tutela della legalità, con spostamento della garanzia dal polo privatistico a quello pubblicistico, e lede con effetti continuativi principalmente interessi pubblici, con la conseguenza che la qualificazione di illegittimità, anche e soprattutto per l’improbabile esercizio da parte dell’amministrazione di poteri di autotutela, non sarebbe idonea alla tutela della legalità, e che la nullità stessa può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed anche essere rilevata di ufficio dal giudice, à sensi dell’art. 1421 c. c.».

[17] Vengono descritte come nullità c.d. testuali, le ipotesi in cui la violazione del paradigma normativo è espressamente sanzionata dal legislatore con la nullità dell’atto amministrativo. Tra esse sono generalmente ricomprese l’assunzione nel pubblico impiego non preceduta da procedura concorsuale (art. 3 D.P.R. n. 3/1957); gli accordi sostitutivi o integrativi tra privato e p.a. privi del requisito ad substantiam della forma scritta (art. 11, L. n. 241/1990); gli atti emessi dagli organi decaduti dopo il regime di prorogatio (art. 3 L. n. 444/1994).

[18] Cfr. decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 19 marzo 1984 n. 6, in Cons. Stato, 1984, I, 238.

[19] Nello stesso senso, più di recente, v. Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2013,  n. 3133; Id. 28 giugno 2011, n. 3872; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II Bis, 11 settembre 2013,  n. 8215.

[20] E. Gaetani, La nullità del provvedimento amministrativo per violazione o elusione del cosiddetto giudicato cautelare, in Foro amm. Tar, 2008, 3204; nello stesso senso L. D’Angelo, Nullità del provvedimento amministrativo per violazione del giudicato cautelare. Nota a TAR Liguria, sez. II, sentenza 2.2.2007 n° 158, in Altalex.com.

[21] C. Mandrioli, Diritto processuale civile, Torino, 2007, vol. I, 21 e ss.; S. Menchini, Il giudicato civile, Torino, 2002; A. Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 386 e ss.; G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, vol. I, 341 e ss.

[22] Cfr. Cass., Sez. Lav., 26 giugno 2001, n. 8765: «le ordinanze cautelari non hanno attitudine, per loro natura, a passare in giudicato, ponendosi esse in funzione strumentale rispetto alla decisione di merito nella quale sono destinate a confluire».

[23] Nello stesso senso, v. T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. II, 26 luglio 2005,  n. 1397, secondo cui l’assimilazione tra giudicato formale e decisum cautelare  «oltre a porsi in contrasto con la chiara lettera della legge [n. 241/1990], di cui viene proposta una inammissibile interpretazione estensiva, trova un ostacolo insormontabile nei caratteri tipici del giudicato, i quali sono affatto estranei alle misure cautelari. Focalizzando l’attenzione esclusivamente sugli effetti, può richiamarsi il carattere definitivo ed incontestabile del giudicato, il quale è impermeabile finanche alle pronunce di incostituzionalità, per loro natura connotate da retroattività. Tali caratteri sono estranei alle misure cautelari, le quali sono naturalmente munite di un’efficacia interinale e provvisoria, destinata a cessare con la pronuncia di merito, anche di primo grado».

[24] Non è questa la sede per affrontare l’argomento, il quale meriterebbe autonoma trattazione, ma evidentemente se il diritto vivente fosse quello recato dall’indirizzo “sostanzialistica” criticato nel testo, sarebbe allora non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4, c.p.a. in relazione in relazione agli artt. 2, 3, 24, 97, 111 e 113 Cost.

Ciò in quanto il termine decadenziale per l’esercizio dell’azione ex art. 114, comma 4, lett. c) c.p.a. impedirebbe alla decisione cautelare di assicurare che quella di merito intervenga re adhuc integra.

[25] E pluribus, R. Arbib e M. Di Lullo, Giudizio di ottemperanza, in Codice del processo amministrativo, a cura di M. Sanino, Torino, 2011, p. 456, i quali osservano come il ricorrente, oltre al ricorso per ottemperanza ex art. 113 c.p.a., ha a disposizione un ulteriore rimedio di tutela ex comb. disp. artt. 59 e 87 c.p.a., in base ai quali è consentito di ricorrere al giudice della cautela, mediante istanza notificata alle parti, al fine di conseguire le opportune misure attuative.

[26] Contra Cons. St., Sez. V, 7 giugno 2013,  n. 3133, il quale dall’art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla lett. c), trae conferma della «tesi della nullità derivante dalla violazione di un “giudicato” cautelare, come nella specie».

[27] Sul punto v. R. Garofoli, La tutela cautelare degli interessi negativi. Le tecniche del remand e dell’ordinanza a contenuto positivo alla luce del rinnovato quadro normativo, in Dir. proc. amm., 2002, pag. 857.

[28] G. Sabbato, Il giudicato cautelare, in www.giustizia-amministrativa.it, il quale richiama la sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. I, 7 agosto 2012,  n. 1466, secondo cui «a fronte di un provvedimento adottato a seguito di remand cautelare, ma ancora una volta non satisfattivo, l’eventuale decisione di merito favorevole al ricorrente non pare di norma idonea – quantomeno nelle ipotesi in cui l’annullamento del provvedimento originariamente impugnato faccia salvi i residui spazi di discrezionalità amministrativa – a produrre effetti ulteriori rispetto a quelli dell’ordinanza cautelare già eseguita; di modo che, in nome dei principi di effettività della tutela giurisdizionale, di economia processuale e di economicità dell’azione amministrativa, all’originario ricorrente non può essere negato l’interesse all’immediata impugnativa del nuovo provvedimento, tale interesse venendo meno nella sola eventualità di caducazione, ad opera della decisione di merito, della stessa misura cautelare contenente l’ordine di riesame, con conseguente automatico travolgimento di ogni suo effetto».