Avv. Ettore Nesi – DIRITTO SOCIETARIO – Danni causati da terzi ai soci. Risarcibilità dei danni diretti patrimoniali e non subiti dal socio a cagione di un fatto illecito di terzo che abbia danneggiato società di capitali

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L’art. 2395 (“Azione individuale del socio e del terzo”) cod. civile disciplina, al comma 1°, l’azione individuale di responsabilità nei confronti degli amministratori da parte del singolo socio o del terzo che siano stati «direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori».

Da tale disposizione la giurisprudenza ricava, a contrario, il divieto di risarcire al socio il c.d. danno riflesso nel caso in cui l’autore del danno sia un terzo.

Infatti, nelle ipotesi in cui il comportamento illecito di un terzo abbia danneggiato la società di capitali, i soci di essa non hanno titolo per avanzare pretese risarcitorie nei confronti del danneggiante, sebbene il suo comportamento abbia depauperato il patrimonio personale degli stessi soci, per la perdita del capitale investito nella società e della possibilità di incassare utili di gestione.

Ciò in quanto «la perfetta autonomia patrimoniale inerente alla personalità giuridica della società comporta la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci, dalla quale derivano l’esclusiva imputazione alla società stessa dell’attività svolta in suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali passive, essendo la responsabilità del socio limitata al bene conferito, e l’esclusiva legittimazione della società all’azione risarcitoria nei confronti del terzo che con la propria condotta illecita abbia recato pregiudizio al patrimonio sociale» (Cass., Sez. I, 11 dicembre 2013, n. 27733).

In caso di depauperamento del patrimonio sociale per fatto illecito di un terzo «gli effetti negativi sull’interesse economico del socio (riduzione del valore della quota e compromissione della redditività dell’investimento) costituiscono mero riflesso di detto pregiudizio e non conseguenza diretta ed immediata dell’illecito» (sent. 27733/2013).

Di questo principio – che rappresenta il naturale completamento del divieto (posto dall’art. 2395 c.c., con riferimento agli “atti colposi o dolosi degli amministratori”) di risarcire al socio il c.d.

danno riflesso nel caso in cui l’autore del danno sia un terzo – la corte romana ha fatto erronea applicazione, senza indagarne la ratio e verificarne la integrale applicabilità nella fattispecie, in relazione alla concreta tipologia dei danni dedotti dai ricorrenti.

Per la giurisprudenza di legittimità, la ratio sottesa al divieto di ristoro del danno riflesso si spiega in quanto «se si ammettesse che i soci di una società di capitali possano agire per ottenere il risarcimento dei danni procurati da terzi alla società, in quanto incidenti sui diritti derivantigli dalla partecipazione sociale, non potendosi negare lo stesso diritto alla società, si finirebbe con il configurare un duplice risarcimento per lo stesso danno» (sent. 27733/2013 cit.).

Nella categoria dei danni sociali – rispetto ai quali solo alla società compete il risarcimento («di modo che per il socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo pregiudizio», così sent. 27733/2013 cit.) – possono ricondursi i danni derivanti dalla perdita della redditività e del valore della partecipazione e della possibilità di conseguire gli utili, nonché dalla perdita del capitale sociale quale bene della società e non dei soci.

Fermo restando il divieto per il socio di domandare il ristoro dei danni sociali, secondo la S.C. è tuttavia possibile tenere distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti dalla società.

Osserva infatti la Sezione I che «dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico – patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a dolersi» (sent. 27733/2013 cit.).

Rientrano in quest’ultima categoria di danni diretti, quelli patrimoniali che i soci deducono di avere subito come persone, prima che come soci, sul piano dell’attività economica e a quelli non patrimoniali per le ripercussioni negative sulla loro vita personale e di relazione (cfr. sent. 27733/2013 cit.). Si tratta cioè di danni arrecati alla sfera personale (all’immagine, all’onorabilità, ecc.) e patrimoniale del socio (si pensi alla perdita di opportunità economiche e lavorative o alla riduzione del c.d. merito creditizio).

In questi casi il danno rimane pur sempre diretto e, quindi, risarcibile al socio dal terzo responsabile (sent. 27733/2013 cit.).